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19/12/2012 10:08:28

Gesù, segno di contraddizione

Quando presenta Simeone, Luca lo descrive semplicemente ma significativamente come «un uomo giusto»: vive in Gerusalemme e, da uomo retto qual è, si tratta della persona più indicata per riconoscere Gesù come colui nel quale e attraverso il quale questa giustizia si compie. L’elemento più sorprendente e più dirompente però, in questa confessione, è un altro e consiste nel fatto che chi pronuncia queste parole è un laico, ovverosia, letteralmente parlando, un «uomo del popolo». Non si tratta, infatti, di un sacerdote, di un uomo che, per così dire, “per mestiere” si occupa di amministrare il sacro: Luca, con buona pace di quanti, allora come oggi, rimangono perplessi e scandalizzati da questa scelta, pone sin dall’inizio la vicenda umana e divina di Gesù sotto il segno della laicità. Quelle di Gesù saranno una storia ed una predicazione che si svolgeranno per intero non nell’ambito del sacro, ma in quello del profano, totalmente estraneo e persino in contrasto con il mondo della religiosità istituzionale. Simeone, uomo retto e laico, viene però incontro a Gesù e ai suoi genitori proprio dentro il tempio, per annunciare che, in verità, con quel tempio e con il suo sacerdozio la predicazione e la vita di quel bimbo, un giorno non lontano, entreranno inevitabilmente in contrasto. Profeta di questa notizia è, come quasi sempre sono i profeti biblici, un uomo del popolo, che agli occhi di Dio è affidabile più di qualsiasi uomo religioso per il semplice fatto che si tratta di un uomo giusto. E persino lo stesso nome che porta non è figlio del caso: Simeone, infatti, vuol dire, letteralmente, «colui che dà ascolto»; ed è questa stessa capacità, il suo saper volgere l’orecchio così come il cuore a Dio, ciò che lo rende, in ultima istanza, un uomo giusto.   Ma le sorprese legate a quest’uomo semplice ed integro non sono ancora finite, al contrario, hanno appena avuto inizio. Prima di scoprire la meraviglia che è custodita nelle parole che egli pronuncerà, vorrei però soffermarmi insieme con voi sul gesto che le precede e che testimonia, una volta ancora, la prospettiva di rottura e di novità in cui questo brano va collocato e alla luce della quale vorrei provare a leggerlo insieme con voi. Simeone, infatti, contro ogni consuetudine propria del suo tempo e della sua cultura, sceglie di rivolgere le sue parole non al padre del bambino, ma alla madre. Il perché di questa sua scelta non viene menzionato nel testo. Per questo siamo costretti, come spesso accade quando ci avviciniamo a una pagina biblica, a ricorrere alla nostra fantasia, a quello che mi piace definire come un atteggiamento di «fedeltà creativa»: ebbene, nel tentativo di rimanere fedele al testo e, insieme, all’immaginazione che ogni racconto biblico richiede e sollecita, mi piace pensare che Simeone non scelga a caso Maria come sua interlocutrice ma, al contrario, che lo faccia con uno scopo ben preciso. Mi piace immaginare che egli sapesse, nell’intimo, che in un cuore di donna avrebbe trovato un terreno più fertile, capace di una comprensione più profonda perché meno convenzionale. Nella religiosità sacerdotale, ieri come oggi, la donna non è considerata come possibile interlocutrice: la parola circola da maschio a maschio, perché i maschi custodiscono e circoscrivono lo spazio inviolabile del sacro. Il Dio delle istituzioni religiose parla ai soli maschi, i quali poi, sovente, si elevano al rango di depositari del vero. I vangeli, al contrario, sono storia di una rivelazione che, in modo assai significativo, si apre e si chiude al femminile.   Dio, all’inizio come alla fine dell’evangelo secondo Luca, affida quanto ha da dire a delle donne, verso le quali mostra una preferenza che rappresenta il radicale ribaltamento di quell’esclusione religiosa di cui esse sono vittime. Dio abita cuori di donna e in quei cuori decide che il Suo messaggio risuoni e che la Sua voce continui a danzare libera, al di fuori delle tentazioni dogmatiche che pervadono i sistemi religiosi maschili. Nell’ascolto femminile Dio ripone la sua fiducia e a voci e orecchie di donna affida quel messaggio che richiede audacia, originalità, capacità di sfidare le convenzioni. E anche Simeone, «colui che ascolta», sa bene che, assai più sovente, l’ascolto più profondo e attento è quello delicato, riflessivo, in grado di cogliere le sfumature di cui sono capaci le donne.   Ed è così che, scelta Maria quale destinataria delle parole che ha da rivelare, Simeone prende a dirle: «Questo tuo figlio è posto per la caduta e per il rialzarsi di molti in Israele». Ambedue le cose: ma, una volta ancora, è importante vedere a chi sono indirizzate queste espressioni. A cadere, secondo la tradizione profetica e sapienziale di cui Gesù sarà figlio, saranno i potenti, in particolare quelli che fanno della religione e del tempio i luoghi per l’esercizio arbitrario dell’autorità e del consolidamento dei privilegi acquisiti. Ad essere risollevati, al contrario, saranno le donne e gli uomini che il sistema religioso opprime e mantiene in uno stato di ignoranza ed esclusione: Gesù metterà tutti costoro al centro del suo annuncio, restituendo loro dignità e protagonismo, facendone addirittura, in un modo che i sacerdoti del tempio non possono che aver considerato sfacciato ed insolente, gli eredi del Regno.   Gesù infatti, prosegue Simeone, sarà «segno di contraddizione»: uomo che susciterà amore ma anche invidie, discepolato ma anche insofferenza, consenso ma anche rifiuto. Seguirlo significherà non avere vita facile, esporsi al rischio costante della persecuzione: di qui la contraddizione che la fede in lui porta sin dentro al cuore di chi, come noi, intende diventarne discepolo. Anche perché è proprio da questi stessi cuori che provengono quei pensieri che Gesù rivelerà e che noi, spesso, tendiamo a nascondere. A partorirli, infatti, secondo la tradizione ebraica, non è la mente, luogo simbolico della chiarezza, ma il cuore, simbolo di una profondità che è, al tempo stesso, fonte di ricchezza e pozzo di oscurità. L’intimità del cuore, infatti, rappresenta per ciascuna e ciascuno di noi la dimensione più autentica ma anche la più temuta, quella in cui, sovente, abbiamo timore di calarci: Gesù fa in modo che essa affiori, perché possiamo riprendere quel cammino sino a noi stesse, a noi stessi, senza il quale ogni avvicinamento a Dio non può che risultare illusorio e destinato al fallimento.   Ed è proprio con un riferimento all’intimità che Simeone si rivolge, con una confidenza commovente e sorprendente, a Maria. Le dice, infatti: «Una spada, poi, trapasserà la tua stessa anima». Ancora una volta, ci troviamo di fronte a quell’umanità profonda, fragile, di cui tutta la bibbia è intrisa. La Parola divina, infatti, è tutt’altro che estranea o contrapposta a tutto quanto è umano: al contrario, essa si fa incontro alla nostra umanità e la abita, la accoglie, la nobilita. Scoprire la fede nel Dio di Gesù, infatti, non significa altro se non compiere un cammino inesausto di umanizzazione, di scoperta e di valorizzazione della nostra umanità.   Simeone annuncia a Maria il suo dolore di madre, la ferita da cui dovrà imparare a germogliare la sua fede di donna: il suo Gesù infatti, e lei lo sa, appartiene a Dio, e lei dovrà riscoprirsi madre nel lasciarlo andare, nel rinunciare alla spontaneità del sentimento che tende a trattenere l’amato. Quel figlio suo e non suo, dono dell’amore come lo è ogni figlio, ogni figlia, sarà trafitto a morte e straziato, e con lui il suo cuore di madre. Ma in questo squarcio che verrà a dilaniarle il petto Dio, per bocca di Simeone, promette di gettare un seme: e da quel dolore muto e inconsolabile qual è il dolore della madre che veda morire il figlio, da quel solco che le si scaverà nell’anima e nei sensi, gli ultimi di questa terra riceveranno speranza e nuova vita.

 Pastore Alessandro Esposito - da www.chiesavaldesetrapani.com

 



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