Mario Monti ha ricevuto una protezione a tutto campo durante i tredici mesi del suo governo e anche prima quando si cominciò a parlare di lui come futuro presidente del Consiglio. Molti giornali italiani e stranieri, e in particolare il Financial Times, hanno scagliato in suo favore enormi fendenti sul Cavaliere, che appariva loro il peggio del peggio, e insomma l'uomo politico da eliminare nell'interesse dell'Italia. Per questo appare strano, ma non a chi conosce quel proverbio, che proprio il Financial Times abbia criticato il governo Monti, a m0' di consuntivo di undici mesi di governo
Io che non mi sono illuso della capacità di Monti e del suo governo di riformare l'Italia, adesso vedo che persino quell'autorevole giornale, citato a più non posso dai liberal nostrani, dice più o meno le stesse cose che penso.
La produzione industriale italiana é in discesa. Il prodotto interno lordo é peggiore di due punti rispetto alla media dei Paesi dell'Euro. Sono due indicatori importanti, che dipendono esclusivamente dalla nostra capacità di produrre. Non é possibile ricondurli in breve tempo alla normalità.
Discorso diverso per lo spread, le cui fluttuazioni sono facilmente repentine, non dipendono solo dalla nostra economia, ma dalla politica dei tedeschi. Per questo, affidarsi all'andamento dello spread quale termometro fondamentale della buona tenuta del paese é illusorio. I meccanismi che producono il differenziale tra i titoli di Stato italiani e i bond tedeschi sono una specie di cabala, e non costituiscono indicatori economici - finanziari affidabili.
Alla notizia che Monti ha intenzione di dimettersi, lo spread é salito di cinquanta punti, e i fautori del governo Monti hanno detto: "Vedete, lo spread sale, perché il mercato non vuole il ritorno di Berlusconi." Questa é una fesseria. Non che io auspichi il ritorno di Berlusconi. Ma volerne ostacolare il ritorno con la scusa che alla notizia del suo possibile ritorno gli interessi pagati dallo Stato agli acquirenti di suoi titoli aumenteranno, é una sciocchezza enorme. Anche se gli interessi pagati dallo Stato diminuissero, e la recessione economica non recedesse, la nazione italiana starebbe sempre male.
In undici mesi di governo Monti é stata messa nel carniere una sola vera riforma, quella delle pensioni. E' stata realizzata a carico dei pensionati meno abbienti. In proporzione, sono state lasciate intatte le pensioni d'oro e le liquidazioni milionarie. Dopo, le altre riforme sono andate a farsi benedire. Quella della burocrazia non é nemmeno iniziata, se un analista fine come Galli della Loggia, in un recente fondo del Corriere, ha ribadito che la casta delle caste in Italia é l'alta burocrazia. Le liberalizzazioni si sono fermate al disotto del livello dei paesi più progrediti. I tagli alla politica sono stati taglietti per i quali un medico non darebbe nemmeno un punto. L'abolizione delle province, dopo tante chiacchiere e promesse, é finita in nulla. Le tasse sono aumentate, invece di scendere. La giustizia é talmente lenta che non é più giustizia. I disoccupati aumentano. Non si sa come sistemare tutti gli esodati, ammesso che si sia accertato quanti realmente sono. Gli ospedali: ci sono i buoni e i pessimi, e i pessimi costano in proporzione quanto i buoni. Molti bravi ricercatori, che potrebbero dare scoperte all'Italia, si trasferiscono all'estero perché non trovano in patria un lavoro adeguato. La scuola produce studenti che non sanno leggere bene e nemmeno far di conto. I sindacati non hanno perso l'arroganza tradizionale, e ora che siamo entrati nel post industriale, ragionano ancora come ai tempi dell'epoca passata.
Sarà dura nei prossimi anni, perché Monti ci lascia un paese non migliore di come l'ha trovato.
Leonardo Agate