Alla fine di questo lavoro tra conti correnti, bilanci, conti societari, dichiarazioni dei redditi, hanno ricavato una somma incredibile, il valore delle proprietà che Nanà Ippolito e sua moglie sono risultati possedere era molto superiore ai redditi dichiarati. Volete i numeri’ Eccoli, nel 1992 rispetto a redditi per quasi 13 mila euro sono emerse disponibilità per quasi 50 mila euro, nel 2004, 30 mila euro di redditi dichiarati, disponibilità per quasi 300 mila euro, nel 2010 52 mila euro di redditi ufficiali, proprietà e conti correnti con denaro liquido per quasi 600 mila euro. Tra il 2000 e il 2010 risultano ingiustificati (rispetto ai redditi dichiarati) somme tra i 247 mila euro e i 596 mila euro. Il risultato di questo lavoro certosino si è palesato adesso, con un sequestro di beni contro Ippolito per 5 milioni di euro, l’officina di Castelvetrano, fabbricati, automobili, anche di epoca, una imbarcazione, motocicli di ogni genere, 13 conti correnti bancari, cosa se ne faceva di tanti conto correnti uno che nella vita faceva il meccanico d’auto? Per la Dia di Trapani che ha fatto le indagini e per la Procura antimafia di Palermo che ha chiesto sequestro e sorveglianza speciale per Ippolito – che nel frattempo è detenuto e sotto processo davanti al Tribunale di Marsala – tutta la possidenza è da ricondurre al potere che Nanà Ippolito ha esercitato per conto di Matteo Messina Denaro, quei beni non sarebbero altro che una ulteriore parte della ricca cassaforte le cui chiavi sono nelle mani del boss latitante Matteo Messina Denaro, indiscusso boss di Castelvetrano e oggi a capo delle famiglie di Cosa nostra tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento. Quello che accadeva nell’officina di Nanà Ippolito per diverso tempo è stato filmato e registrato, audio e video, dagli investigatori antimafia della Squadra Mobile di Trapani, hanno interpretato spesso il linguaggio cifrato, quando per esempio c’era da fare una riunione tra i componenti del clan Ippolito faceva sapere che il “pezzo era arrivato”, come se riguardasse la riparazione di una autovettura, incredibilmente però quel pezzo arrivato non interessava una sola persona, ma tante, tutti quelli che sono risultati fiancheggiatori di Messina Denaro. E poi in quella officina si parlava anche in modo chiaro, senza sotterfugi in alcuni casi: c’era l’anziano capo bastone Nino Marotta, ottantenne, che a suo tempo fece parte anche della banda del bandito Giuliano, che è stato ascoltato dispensare consigli su come evitare le intercettazioni, senza sospettare che lui in quel momento era intercettato e ripreso da una telecamera nascosta nell’officina, o ancora gli investigatori hanno anche sentito il clan occuparsi si politica ed elezioni, nel 2008 quando c’era da votare per il Parlamento nazionale la loro preoccupazione era quella che “se salivano i comunisti” loro “erano consumati”. …votiamo giusti!…ce ne possiamo andare dall’Italia se salgono…Prodi… questo babbu ! ci consuma a tutti…votiamo giusto quando sarà». Dentro quell’officina parlavano molto di Matteo Messina Denaro, a rapporto con loro, con Ippolito e il clan spesso è stato visto Salvatore, il fratello del latitante, si appartavano e discutevano, parlavano della “carriera” di Matteo, si compiacevano, “lui adesso è il numero uno”.