Avrebbero fatto credere alle vittime (diciassette quelle individuate) di poter fare ottimi affari comprando a prezzi «stracciati» automobili, motociclette, imbarcazioni da diporto, motori fuoribordo, etc., alle aste giudiziarie del tribunale del capoluogo piemontese.
Quelle aste, però, in realtà, non erano state mai bandite. Alle vittime, infatti, venivano mostrati documenti falsi.
I truffati si accorgevano del raggiro soltanto dopo aver pagato la somma richiesta. Quando, dopo lunga attesa, ancora non vedevano neppure l’ombra del bene che pensavano di avere acquistato.
A indagare sulla vicenda è stata la sezione di pg della Guardia di finanza della Procura di Marsala diretta da Alberto Di Pisa. Oggi le prove raccolte saranno al vaglio del giudice dell’udienza preliminare Annalisa Amato, chiamata a decidere sulle richieste di rinvio a giudizio avanzate per Salvatore Lombardo, 55 anni, ex carabiniere (nell’Arma dal 1976 al 1990), originario di Marsala, ma residente a Torino, e Antonio Maniscalco, di 57, carrozziere, abitante in contrada Paolini - entrambi, un paio d’anni fa, posti agli arresti domiciliari - per un fratello di Lombardo, Giovanni, di 48 anni, e per Carlo Genna, di 54.
Le accuse ipotizzate sono associazione per delinquere e truffa. L’ammontare complessivo della truffa è stato stimato dagli inquirenti in oltre mezzo milione di euro. Nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip Giuliana Franciosi, Antonio Maniscalco si difese, però, affermando di essere «vittima » della truffa. E come lui il figlio e
la nuora. Il gip allora confermò l’arresto di Lombardo, disponendo, invece, il ritorno in libertà di Maniscalco. A difendere i fratelli Lombardo sono gli avvocati
Giovanni Gaudino e Salvo Lo Greco, mentre Genna è assistito da Diego Tranchida.
Il primo testimone ascoltato dalla sezione di pg della Finanza fu un rivenditore di auto (C. S.). Ciò dopo avere saputo che in città iniziava a diffondersi
la voce della possibilità di «ottimi affari grazie ad aste giudiziarie al Tribunale di Torino».
OMICIDIO VIA. È fissato per oggi dinanzi la Corte di Cassazione, il processo a carico dei marsalesi Giovan Battista Della Chiave ed Orazio Montagna, chiamati a rispondere della morte del giovane magazziniere. Antonino Via, assassinato, il 5 gennaio di cinque anni fa, a Trapani, durante una rapina. Antonino Via non esitò a soccorrere un collega aggredito da due rapinatori poco distante dal supermercato Gea dove lavoravano, in via Orti. Nel corso della colluttazione uno dei malviventi esplose un colpo di pistola. Antonino Via, gravemente ferito, morì poco dopo il ricovero in ospedale. Secondo gli inquirenti a sparare sarebbe stato Giovan Battista Della Chiave. Nel corso del processo di primo grado, celebrato dinanzi la Corte d’Assise di trapani, l’uomo, sentito dai giudici, aveva ammesso di avere ideato la rapina sostenendo però di non avervi preso parte. Il colpo sarebbe stato commesso, secondo Giovan Battista Della Chiave, da Orazio Montagna insieme con due congiunti. Una versione che però non aveva convinto i giudici. Giovan Battista Della Chiave ed Orazio Montagna erano stati condannati, al termine
del processo di primo grado, a ventisei anni di reclusione.
Il 23 maggio dello scorso anno, la prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Palermo, aveva confermato le pene inflitte ai due imputati. I familiari di Antonino
Via, assistiti dall’avvocato Giacomo Lombardo, si sono costituiti parte civile.
Secondo gli inquirenti, alle fasi della rapina avrebbe preso parte anche un terzo uomo che non è stato ancora identificato.