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10/08/2012 04:09:58

Ma può il Sindaco di Marsala, Giulia Adamo querelare un cittadino che la critica? Parola all'avvocato

Al di là dell'episodio in sè (e del personaggio Adamo) ci siamo chiesti: fino a che punto un cittadino può esprimere liberamente la sua opinione sull'operato di un Sindaco? Abbiamo girato il quesito al nostro avvocato pro bono redazionale, Valerio Vartolo, ormai esperto in diritto di cronaca, diritto di critica, querele e dintorni, felice per una volta di intervenire non per difenderci in Tribunale, ma per chiarire un po' a tutti come stanno le cose, in fatto e in diritto.

Può un Sindaco querelare un cittadino? La domanda non deve trarre in inganno: ovvio che sì, almeno dal punto di vista legale. Così come un comune cittadino può, sempre legalmente, querelare un giornalista o il direttore del giornale o ancora l’editore dello stesso. Ma fino a che punto la querela sia uno strumento di difesa per chi, Sindaco o comune cittadino, si senta e sia stato leso nei propri diritti (la reputazione, specificatamente, perché di questa tratta il codice penale) è argomento di notevole attualità. Qual è, cioè, il confine tra esercizio di un proprio diritto e mero arbitrio, talora a puro scopo intimidatorio? Il nostro codice penale prevede (art. 595) che deve essere punito colui che offende “l’altrui reputazione”.
1) Ebbene, anzitutto un primo chiarimento deve essere sul punto: l’offesa alla reputazione deve, per così dirsi, essere un’offesa oggettivamente riscontrabile e rinvenibile, non è sufficiente che il soggetto querelante si senta offeso né che, sempre quest’ultimo, ritenga che ciò che su di lui si è detto o scritto sia offensivo, infatti è necessario che l’eventuale offesa alla reputazione sia tale alla luce della stima e delle opinioni che sul soggetto leso la comunità ha. Infatti, la diffamazione afferisce alla reputazione, che è concetto diverso da quello di onore (tutelato dall’ingiuria) che offre maggiore rilievo ai “sentimenti” soggettivi della persona ingiuriata.
2) La diffamazione, in particolar modo quella a mezzo stampa, prevede che esistano alcune circostanze (art. 51 codice penale) capaci di “giustificare” tale (eventuale) lesione alla reputazione considerato che il diritto di cronaca ed anche quello di critica sono libere espressioni della manifestazioni del pensiero e come tali sono tutelate dall’articolo 21 della nostra Costituzione, assurgendo, dunque, a diritti di rango costituzionale. Tali circostanze sono: a) la verità del fatto raccontato (cioè, il fatto è vero, e non rileva che raccontarlo lede la reputazione di qualcuno); b) il fatto è importante per la comunità, raccontarlo è necessario. La giurisprudenza più recente ritiene che la comunità debba avere un imprescindibile diritto a conoscere ogni circostanza, in particolare, legata all’amministrazione della cosa pubblica: per tale motivo, il legislatore e la giurisprudenza ritengono che il diritto all’informazione prevale sulla stessa reputazione. Ciò è ancor più vero alla luce della legislazione e della giurisprudenza europea che difendono e garantiscono i diritti di un giornalismo che è sempre più Watch Dog, cioè cane da guardia del potere. In sintesi, si prevede che l’importanza del ruolo della libera stampa debba essere esaltato e tutelato perché da quest’ultima dipende la formazione di una libera opinione democratica.
3) Ancora più tutelato ed ancora con limiti minori è il diritto di critica. Se nel diritto di cronaca esiste un fatto che deve essere valutato ai fini della verifica circa l’esistenza o meno delle cause di giustificazione, nel diritto di critica abbiamo soltanto l’opinione di un soggetto circa un altro soggetto. Come può stabilirsi il limite fra libera manifestazione del pensiero e offesa alla reputazione? Ebbene, la più recente giurisprudenza ritiene che, anzitutto, non debbano essere utilizzate espressioni gratuitamente offensive: epiteti o insulti. Fuori di ciò, la critica deve, nella maggior parte dei casi, ritenersi legittima, perché costituisce la più plastica rappresentazione dell’art. 21 della Costituzione. Ma c’è di più: le più recenti sentenze della Corte di Cassazione ci dicono che la critica debba avere ancora meno limiti laddove sia rivolta ad un cosiddetto “potente”; basti pensare, a tal proposito, al commento stesso di un giornalista ovvero alla lettera di un privato cittadino nei confronti di colui che, in ogni livello, esercita il potere politico o amministrativo. In questi casi, si predilige, in una ipotetica bilancia degli interessi in cui si confrontano la reputazione del potente di turno ed il diritto di espressione del pensiero del giornalista o cittadino, proprio quest’ultimo diritto.
Dunque, come si è visto, seppur assai velocemente, la giurisprudenza nazionale, tanto più influenzata da quella comunitaria, attribuisce uno spazio sempre maggiore alla libera manifestazione del pensiero, sia essa declinata nella forme del diritto di cronaca, sia nelle forme del diritto di critica. Questa maggiore garanzia attribuita a tale diritto è ancor più esaltata laddove il soggetto destinatario della critica o oggetto della cronaca sia un cosiddetto “potente” e ciò in considerazione della rilevanza che deve attribuirsi alla stampa ed alla formazione (tramite, ad esempio, discussione pubblica) della opinione democratica.
Quanto detto, in termini di diritto e di giurisprudenza, (e qui, mi si consenta, svesto i panni dell’avvocato) dovrebbe, però, essere patrimonio condiviso non soltanto di tutta la stampa ( e non soltanto, mi si perdoni l’espressa menzione) di pochissimi quotidiani (fra cui Marsala.it, che ho l’onore di difendere) e di pochissimi giornalisti, in un panorama, sempre più deprimente, di omologazione dell’informazione e, peggio ancora, di appiattimento di questa nei confronti del potere. C’è però una ulteriore questione: se, come visto, i limiti dei diritti di cronaca e di critica sono sempre più “larghi”, esiste una ulteriore ragione per cui un Sindaco, un Presidente di Regione o un Presidente del Consiglio dovrebbero esimersi dalla querela (se non in casi, ovvio, di particolare gravità). Essi, infatti, esercitano un potere che li pone, almeno sul piano sostanziale, ad un livello diverso da quello del privato cittadino, gestiscono un potere che, anche involontariamente, può assumere i caratteri dell’intimidazione e della prevaricazione, ed inoltre, ma non certo ultima questione, essi rappresentano l’intera comunità dei cittadini. Per quest’ultima ragione è prassi dei paesi a democrazia avanzata che nel momento in cui un qualunque (e di qualunque livello) governante si insedi, questi provveda all’immediata cessazione di ogni azione legale nei confronti di giornalisti o cittadini, proprio perché non possa neanche aversi l’impressione che il potere (spesso immenso) gestito possa anche soltanto paragonarsi allo status di semplice cittadino, confrontandosi con esso.
Un’ultima puntualizzazione: ricordate il caso del Watergate, forse la più celebre inchiesta giornalistica mai svolta, che condusse alla dimissioni del Presidente Nixon? Ebbene, andò così: due giornalisti svelarono gli intrighi di un Presidente. Nessuno discusse di querele. La stampa fece quadrato intorno ai cronisti del Washington Post. Il Presidente si dimise. Verrebbe da dire: “questa è la stampa, e tu non ci puoi fare niente”. Ecco, mandiamo a mente questa lezione.

Valerio Vartolo
 

 



Native | 2024-07-16 09:00:00
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