Siamo qui, che aspettiamo il nostro antipsicotico. Dopo vent’anni non sappiamo tutto ciò che c’è da sapere su quella strage. L’Italia è il paese dei depistaggi, delle tante falsità, dei giochi di potere più efferati. Non è una novità. Ci conviviamo. È un paese con poca memoria. E noi italiani ci conviviamo quasi serenamente con queste amnesie. Non ci facciamo caso. E pare che se non se ne viene a capo adesso, su Via D’Amelio, sarà difficile farlo in futuro. La gente invecchia, non ricorda. Ieri era molto viva la sete di verità in quella piccola via ai piedi di Monte Pellegrino. E non so proprio se questa sete ci sarà tra altri 5, 10, 20 anni. Ci proveranno, i pazzi di Via D’Amelio. Ma la verità verrà a galla quando anche la società lo vorrà. La lotta per la verità è come la lotta alla mafia, come la intendevano Falcone e Borsellino. È una lotta che deve coinvolgere tutti. Se tutti i siciliani (e gli italiani) avranno voglia di sapere.
Fa caldo, e la via è piccola. Stretta dai palazzi. Sono scalcinati, hanno le tende a righe. Sullo sfondo c’è Monte Pellegrino, e il Castello Utveggio. Via D’Amelio, la introduce un palazzo da dodici piani, e nonostante l’ombra si soffoca. Al centro c’è il palco. Si alternano i magistrati che oggi hanno preso il testimone della lotta alla mafia. È molto applaudito Antonio Ingroia, e non me ne vogliano se mi è stato da spunto la sua risposta a Dell’Utri. Perché alla fine di pazzia ce n’è tanta in giro. Noi siciliani siamo i veri fuori di testa. Amiamo la nostra terra quando la lasciamo, la disprezziamo se ci viviamo. La violentiamo, usurpiamo e sporchiamo. Camminiamo col nostro lanternino in mano, e facciamo luce solo attorno a noi. Solo il nostro conta. Siamo i veri fuori di testa, tutti. Ma Borsellino ci credeva, a questi siciliani. Pensava: “occorre insieme che venga da parte di tutti recuperato il senso etico della vita, la consapevolezza che il benessere a vantaggio personale o familiare non può essere perseguito a scapito degli altri, che è questo l’imperativo morale principale del nostro tempo anche su scala planetaria”.
C’erano gli amici e colleghi di Borsellino. I parenti degli uomini della scorta. Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Tutti uomini dello Stato, che anche ieri aveva la sua rappresentanza. Il Presidente della Camera Fini ascolta gli interventi dal dietro le quinte. Glielo mostrano. Anzi, glielo schiaffano quasi in faccia i ragazzi delle Agende Rosse lo striscione con scritto “no corone di Stato per stragi di Stato”. Eppure guai a parlare di antistato se ce la prendiamo con i politici. Viene cantato da tutti l’inno italiano. Sventola in via D’Amelio la bandiera italiana. Sventola anche quella della Sicilia, la trinacria. La Sicilia. Che negli ultimi giorni è al centro della cronaca politica per il rischio di collasso economico. Buongiorno agli economisti, la Sicilia è fallita da 60 anni. È un sistema marcio, quello clientelare. Che poi è mafioso. Lo sapeva, lo vedeva Borsellino che tutto nasceva da lì. Che la lotta alla mafia era lotta contro il sottosviluppo. Per la vera autonomia. Non della Sicilia, ma dei siciliani.
Ai tempi delle proteste e delle proposte che viaggiano sul web pare bastare un “mi piace” per fare antimafia. Per ricordare. È facile. Comodo. Eppure, ieri, Via D’Amelio era piena di “pazzi”.
Francesco Appari