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27/06/2012 04:48:09

Incontri d'autore. Oggi John Dickie a Marsala, alle 18 e 30 a Palazzo Fici, per "Onorate società".

L'appuntamento è alle 18 e 30 a Palazzo Fici, in Via XI Maggio, presso l'Enoteca Comunale. Con Dickie dialogheranno Francesco Timo, della redazione di www.marsala.it, Nino Rosolia e Nanni Cucchiara, insieme al Sindaco di Petrosino, Gaspare Giacalone.

Con il rigore analitico dello storico combinato al racconto del romanziere, in Onorate Società John Dickie affronta contemporaneamente la camorra napoletana, la mafia siciliana e la 'ndrangheta calabrese, le cui origini sono tutte e tre riconducibili alla nascita dello Stato italiano.
Dal Risorgimento fino al secondo dopoguerra, in queste pagine Dikie spiega la storia della loro nascita, celata sotto un velo di mito e silenzio, come le tre organizzazioni hanno accresciuto il loro potere, come hanno preparato il terreno per l'oggi.

Ecco cosa scrive nella sua introduzione:

La storia della mafia è un campo di studi recente, che nasce in seguito alle atrocità senza precedenti commesse dalla mafia negli anni Ottanta e nella prima metà degli anni Novanta, quando alcuni ricercatori italiani cominciarono a riversare lo sdegno che provavano di fronte a queste vicende scandalose in uno studio paziente e rigoroso. Nella stragrande maggioranza dei casi questi storici, il cui numero è in costante aumento, vengono da quelle stesse regioni del Sud Italia che subiscono più pesantemente l’emergenza criminale permanente del Belpaese, quelle regioni, cioè, dove la storia della mafia continua a dipanarsi. Altri sono magistrati e agenti di pubblica sicurezza, alcuni sono semplici cittadini, ma tutti si sforzano di contrastare con la forza dei fatti e con un dibattito trasparente le bugie e le mitologie della mafia, molto più insidiose di quanto farebbero pensare a prima vista le baggianate romanzesche sui cavalieri spagnoli. In pochi altri ambiti della ricerca storica il rigore nell’interpretazione del passato è in grado di offrire un contributo così diretto alla costruzione di un futuro migliore. Per sconfiggere le mafie bisogna sapere che cosa sono: e sono quello che ci mostra la storia, niente di più e niente di meno. Grazie agli sforzi di una serie di studiosi oggi siamo in grado di diradare l’oscurità che avvolge gli albori della criminalità organizzata italiana, mettendo in luce una storia inquietante, di per sé e per la rilevanza che riveste per il presente.

Ho scritto questo libro perché sono convinto che le scoperte effettuate in questo settore sempre più rilevante della ricerca storica siano troppo importanti per non essere divulgate al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Onorate Società mette insieme la documentazione conosciuta e gli studi migliori sull’argomento con l’obbiettivo di creare un lavoro «corale», come direbbero gli italiani: un saggio in cui molte voci raccontano un’unica storia. Una delle voci del coro è la mia, poiché Onorate Società include anche scoperte nuove e importanti, che integrano e correggono la storia emersa dallo straordinario lavoro di ricerca condotto in Italia.

Nel 2004 pubblicai Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, un saggio dove sintetizzavo i risultati degli studi più attendibili sulla più tristemente nota tra le fratellanze criminali italiane. Onorate Società non è il seguito di Cosa Nostra: è un’opera a sé, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ma chi ha letto Cosa Nostra riconoscerà qua e là degli episodi che ho già raccontato in quel libro, ed è il caso, prima di cominciare, di spiegare perché la mafia siciliana giochi un ruolo tanto centrale nel testo che avete fra le mani. Le ragioni sono due: la prima è che negli ultimi tre o quattro anni sono avvenute nuove scoperte che hanno modificato in modo drastico la nostra interpretazione di alcuni momenti chiave della storia della criminalità organizzata in Sicilia; la seconda è che si può imparare molto sulla mafia siciliana comparandola con la camorra e con la ’ndrangheta. Una cosa che emerge da questo confronto è che la fama sinistra di cui godono le cosche dell’isola è ampiamente meritata.

La Sicilia ha regalato al mondo il termine «mafia», e il fatto stesso che questa parola sia entrata nell’uso quotidiano non soltanto in Italia ma in tutto il mondo è un sintomo dell’influenza pervasiva della criminalità organizzata siciliana. Nel dialetto palermitano, «mafia» stava a indicare bellezza e fiducia nei propri mezzi. Negli anni Sessanta dell’Ottocento, quando la tormentata isola era appena entrata a far parte dell’Italia unita, si iniziò a usare la parola «mafia» per indicare un’organizzazione che emerse per breve tempo da una nebbia di violenza e corruzione. La mafia (che di lì a poco sarebbe di nuovo scomparsa nella nebbia) esisteva già da qualche tempo e aveva raggiunto un livello di potere e di ricchezza che i malviventi dell’Italia continentale potevano soltanto sognarsi. Quel potere e quella ricchezza spiegano perché la parola «mafia» sia diventata un termine generico, che designa tutte le fratellanze malavitose italiane, camorra e ’ndrangheta incluse. Nell’arco di un secolo circa – l’intervallo temporale coperto da questo libro – potremo ripercorrere le sorti delle altre due mafie della penisola confrontandole con l’eccellenza che i siciliani avevano raggiunto fin da subito.

Oggi la mafia siciliana è conosciuta generalmente con il nome di Cosa Nostra, adottato negli anni Sessanta dai mafiosi americani e siciliani. Il nome di ’ndrangheta si è affermato in Calabria a metà degli anni Cinquanta (significa «virilità» o «coraggio»). In entrambi i casi, i nuovi nomi sono emersi perché nel dopoguerra l’opinione pubblica, la magistratura e le forze dell’ordine hanno dedicato maggiore attenzione all’argomento, mettendo a fuoco un quadro reso indistinto da un secolo di confusione, negligenza e collusione pura e semplice. Onorate Società, che si conclude con la caduta del fascismo e la liberazione dell’Italia da parte delle forze alleate, è quindi la storia di regimi criminali che fino a quel momento, pur avendo un nome, erano ignorati o misteriosi, circondati dal silenzio (nel caso della ’ndrangheta) o da polemiche infinite e inconcludenti (nel caso della mafia siciliana).

La camorra ha avuto un rapporto diverso con il proprio nome. La forza delle organizzazioni criminali strutturate ha avuto alti e bassi nella storia napoletana, ma la camorra è sempre stata chiamata camorra. L’Onorata Società napoletana era una setta occulta e segreta di delinquenti, ma, stranamente, di segreti ne aveva pochi. A Napoli, tutti sapevano tutto della camorra, e questo è uno dei motivi che differenziano così tanto la sua storia dalla storia delle Onorate Società di Sicilia e Calabria.

Ricerche comparate sulla storia delle mafie sono ancora rare. Forse è comprensibile: inizialmente, le fratellanze criminali di Sicilia, Napoli e Calabria erano più diverse di quanto l’etichetta onnicomprensiva di «mafia» potrebbe far ritenere; ognuna conobbe un’evoluzione coerente con gli aspetti specifici del territorio in cui prosperava. Ma studiare isolatamente le organizzazioni della malavita italiana, pur con tutte le loro peculiarità individuali, a volte sembra come cercare di comprendere le dinamiche della selezione naturale fissando degli scarabei infilzati su uno spillo dentro una vetrina impolverata. L’Italia non ha organismi criminali statici e solitari, ma un ricco ecosistema malavitoso che continua ancora oggi a generare forme di vita nuove.

Le mafie non sono mai esistite isolate dal contesto. Le cose che le accomunano sono altrettanto importanti di quelle che le differenziano. Durante tutta la loro storia, Cosa Nostra, la ’ndrangheta e la camorra hanno comunicato e imparato le une dalle altre. Le tracce di questa storia comune sono visibili nel linguaggio che le unisce. Un esempio è l’«omertà», che deriva dalla parola «umiltà». In tutta l’Italia meridionale e in Sicilia, l’omertà/umiltà indica un codice del silenzio e della sottomissione all’autorità criminale. Un altro esempio è l’«onore»: tutte e tre le organizzazioni invocano un codice d’onore e si autodefiniscono o si sono autodefinite in varie fasi della loro storia «Onorata Società».

Ma i collegamenti fra le Onorate Società vanno ben al di là della terminologia e sono una delle ragioni del successo e della longevità delle mafie. Le virtù della comparazione e della lettura in parallelo delle storie della mafia, della camorra e della ’ndrangheta forse sono gli unici insegnamenti di metodo storico che la favola di Osso, Mastrosso e Carcagnosso abbia da offrirci. (Il mito fondatore della ’ndrangheta contiene, come si vedrà, un unico altro scampolo di verità: Favignana, l’isola dove è ambientata la favola, un tempo era un bagno penale e dunque è stato effettivamente uno dei luoghi di incubazione delle Onorate Società.)

Tramite un approccio comparativo, Onorate Società fornirà risposta ad alcuni interrogativi ricorrenti. Come sono nate le società criminali segrete italiane? Come sono state scoperte inizialmente? Come sono riuscite, una volta scoperte, non solo a sopravvivere ma ad accrescere il loro potere? Le risposte meno attendibili a questi interrogativi sono quelle che riciclano leggende prive di fondamento, che danno la colpa agli invasori arabi della Sicilia e ai dominatori spagnoli di Napoli, simili alle storielle inventate dalle mafie stesse; anzi, tanto simili da destare sospetti. Appena meno improbabili sono quelle risposte che evocano astrazioni come «la cultura», «la mentalità» o «la famiglia del Meridione».

Molti libri di testo universitari propongono teorie apparentemente più raffinate: parlano del deficit di legittimità dello Stato, della mancanza di fiducia nelle istituzioni pubbliche da parte dei cittadini, del clientelismo diffuso nella politica e nell’amministrazione pubblica e così via. Da professore di storia italiana, io stesso ho recitato in passato formule di questo genere e dunque so fin troppo bene che non spiegano granché. Tuttavia, dietro a questi luoghi comuni c’è un fondamentale elemento di verità: la storia della criminalità organizzata in Italia è anche la storia della debolezza dell’Italia, oltre che della forza delle mafie. L’omertà ci porta al cuore del problema: è un fenomeno che spesso viene raffigurato come un ferreo codice del silenzio, una scelta netta tra collusione e morte. In alcuni casi è senz’altro così, ma le fonti storiche ci dimostrano anche che l’omertà è stata infranta più volte, quando si sono usati i giusti strumenti di pressione. È anche per questo che molti dei segreti più oscuri della criminalità si trovano nascosti negli archivi. Ed è anche per questo che la storia della mafia spesso più che una storia di morti e violenze è una storia di intrighi e disinformazioni.

Il modo migliore per divulgare quei segreti, per ricostruire quegli intrighi, e con l’occasione offrire risposte più soddisfacenti agli interrogativi che circondano le origini delle mafie, è cominciare semplicemente raccontando delle storie. Storie documentate riguardanti uomini e donne, scelte reali effettuate in un tempo e in un luogo specifico, crimini concreti. I migliori studiosi delle organizzazioni criminali italiane ricostruiscono queste storie basandosi su fonti archivistiche frammentarie e sui racconti di persone (specialmente i criminali stessi) che spesso hanno ottimi motivi per offrire una versione distorta dei fatti. Non è banale paragonare questo genere di ricerca storica al lavoro di un investigatore: gli investigatori lavorano indefessamente per mettere in piedi un impianto accusatorio coerente, confrontando il materiale probatorio con quello che raccontano i testimoni e gli indiziati. In entrambi i lavori, quello dello storico e quello dell’investigatore, la verità emerge anche dai buchi e dalle incongruità delle testimonianze disponibili, oltre che dai fatti contenuti in quelle testimonianze.

Ma la domanda alla base degli studi sul lungo e problematico rapporto tra l’Italia e queste infauste confraternite non è semplicemente chi ha commesso determinati reati: la domanda è anche chi sapeva e che cosa sapeva. Nel corso dell’ultimo secolo e mezzo la polizia, i magistrati, i politici, gli opinion makers e perfino i semplici cittadini hanno avuto accesso a un’incredibile quantità di informazioni sul problema delle mafie. Gli italiani si sono scioccati e indignati per la violenza della criminalità organizzata e per le collusioni fra una parte della classe politica e i boss. Il risultato è stato che il dramma delle mafie spesso si è dispiegato sotto la luce dei riflettori, assumendo la forma di uno scontro politico ai massimi livelli, di un evento mediatico. Ma l’Italia ha mostrato grande ingegnosità anche nel trovare ragioni per guardare da un’altra parte o per non fare niente. La storia delle mafie italiane, dunque, non è solo un giallo in cui bisogna cercare il colpevole, ma anche un giallo in cui bisogna cercare chi sapeva. E soprattutto, cercare di capire perché diamine chi sapeva non ha fatto nulla.