Parla cosi' Francesco Di Carlo, ex boss di Altofonte, collaboratore di giustizia, uno dei principali accusatori di Marcello Dell'Utri. "Cosa Nostra -spiega in un'intervista a 'Repubblica', in merito alla cosiddetta trattiva Stato-mafia- senza un rapporto con le istituzioni sarebbe stata una semplice associazione di malfattori. Noi eravamo uno Stato dentro lo Stato". E "sara' sempre cosi', fin quando certi personaggi pubblici si comporteranno come appartenenti a una associazione mafiosa".
Si tratta di politici, aggiunge l'ex padrino, "ma anche professionisti di peso, gente che dentro Cosa Nostra c'e' sempre stata e che magari non poteva essere ritualmente affiliata". "Uomini -aggiunge Di Carlo- che sapevano benissimo che Cosa Nostra gli assicurava la carriera. E loro erano contenti. Oggi li chiamano concorrenti esterni anche se qualche magistrato dice che quel reato non esiste. Mi viene da ridere".
E lei ha saputo se la decisione di uccidere il giudice Paolo Borsellino era legata proprio al suo no alla trattativa? "Non credo sia solo questo -risponde l'ex boss di Altofonte- so che dentro le istituzioni c'era una guerra aperta: da un lato gli uomini degli apparati, servizi compresi, dall'altro Falcone e Borsellino e investigatori come Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli, ai quali i due giudici avevano delegato le indagini tagliando fuori tutti gli altri. Voi credete davvero -conclude Di Carlo- che quella gente, con tutti i contatti che aveva dentro Cosa Nostra, sia rimasta con le mani in mano ad aspettare che li arrestassero come accaduto con Contrada?".