Vescovo Francesco Micciché, si aspettava di essere destituito dal Vaticano per irregolarità amministrative dopo l'indagine della magistratura sul suo ex economo diocesano don Ninni Treppiedi?
"Le dimissioni mi sono state chieste improvvisamente a maggio, quando tutto sembrava ormai chiarito e la vicenda avviarsi verso la serenità con la verifica da parte della Santa Sede delle ruberie di don Treppiedi. Non ho accettato di dare le dimissioni per coerenza ma senza spirito di rivalsa contro il Santo Padre. Ho fatto una scelta. Chiusa questa vicenda molto dolorosa e sfiancante ho deciso di vivere in preghiera. Sentirne sui mass media di tutti i colori sul proprio conto non lascia indifferenti. Ho subito sulla mia pelle notizie molto pesanti e non verificate. Così si calpestano le persone. Sono sempre stato per la chiarezza ma vanno rispettate le regole democratiche".
La Santa Sede le rimprovera anche la perquisizione in un monastero di suore con la violazione della clausura. Cosa replica?
"La perquisizione al convento di Alcamo è una decisione presa solamente dalla magistratura. Io non ho mai "autorizzato" niente del genere. La mia presenza lì è stata richiesta dal pm e io in ogni caso non avrei potuto evitarla. Ho cercato di evitare lo scandalo sempre per tutelare la chiesa e le anziane suore. Il risultato è che sono stato accusato io di indegnità. Sono false le ricostruzioni su perquisizioni nel tabernacolo o monache costrette a spogliarsi. Ma di questo bisogna chiedere alla Santa Sede e alla procura di Trapani. Io non c’entro nulla. Coi magistrati ho fatto solo il mio dovere. Sono stato chiamato come persona informata sui fatti e ho collaborato come richiesto dalla mia coscienza di cristiano e cittadino, nei termini previsti dal magistero della Chiesa".
Come è cominciato lo scontro con l'economo?
"Mi sono reso conto che alcune cose non quadravano e ho fermato il giovane sacerdote. Capitai all’inaugurazione di una mostra in una ex chiesa. Mi era stato detto che era un magazzino fatiscente, da vendere. Mi ritrovai, invece, davanti una piccola chiesa di antica devozione e rimasi sconvolto. Avviai subito un’indagine interna che mi ha portato a sfiduciare in pochi mesi don Treppiedi".
Ci sono conti della diocesi di Trapani allo Ior?
" Su questo sta indagando la magistratura. So soltanto che quando sono andato allo Ior per verificare se c’erano conti della diocesi, io ho dovuto fare anticamera mentre i funzionari mi dicevano che conoscevano benissimo don Treppiedi. Anche quello è stato un campanello d’allarme.
Cosa consiglia all'arcivescovo Plotti inviato dal Papa a sostituirla?
" Non ho alcun consiglio da dare, figuriamoci. L’amministratore è un vescovo di provata esperienza. Quello che mi auguro e per cui prego ogni giorno è che la mia Chiesa ritrovi serenità. Nessuno mi ha mai messo nero su bianco le accuse, a parte per la perquisizione al convento di Alcamo in cui la Santa Sede avrà avuto notizie parziali o distorte. Certo, dovevo essere più accorto nel dare fiducia a qualche mio collaboratore, ma non è facile. Ovunque tanti miei confratelli si trovano in situazioni molto gravi: preti accusati di molestie sessuali anche con incarichi di rilievo nelle curie o scandali finanziari ma in genere non si colpisce il vescovo in maniera così veemente come è successo a me. Molti fedeli si dicono smarriti per una pena che considerano ingiusta poiché sanno che non ho colpa. Ma io obbedisco. Se la Chiesa ha deciso così, ci sarà un bene superiore che io proprio non comprendo. E in ciò, umanamente, non manco di rispetto a nessuno. Ci sono dinamiche che mi sfuggono".
Quali?
"Data la velocità con cui mi è stato chiesto di dimettermi, ho la chiara impressione di essere finito in un meccanismo più grande. Ma sono un vescovo: credo nella Chiesa e per essa continuo a vivere e pregare. La vita di un vescovo che sempre si assume in prima persona tante responsabilità è piena di errori. Prima di lasciare Trapani ho anche chiesto scusa a qualche sacerdote. Non me ne vergogno. L'’importante è arginare gli errori compiuti per tutelare la Chiesa che ho servito per tanti anni".
Le è stata rimproverata la vicinanza all'arcivescovo Salvatore Cassisa finito nella bufera per inchieste di mafia..
"E’ stato il mio vescovo e io un suo collaboratore leale fino all’ultimo giorno in cui sono stato nella diocesi di Monreale. Ma la mia indipendenza da "cordate" è palese: forse è stata una debolezza ma per me è un vanto Desidero solo avere la coscienza a posto davanti a Dio e continuare a servire la Chiesa nel silenzio.
Per mesi sul mio conto è circolata qualunque assurdità: pure che sarei cugino del boss Giovanni Brusca e di Provenzano, che ho conti in banche estere, vicinanze mafioseo che ho scritto al faccendiere Bisignani. O che con fondi pubblici ho ristrutturato chiese (e inveceTrapani è tra le poche diocesi che ha realizzato tante iniziative e ristrutturazioni senza “amicizie politiche”. Quelle sono servite a qualcuno per interessi personali o familiari. Non certo me o alla Diocesi. E’ un tritacarne micidiale. Mi aspetto altre fantasticherei, dalle quali mi tutelerò".