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18/06/2012 08:45:12

La meditazione del pastore: Tornare a scavare

Chiaramente, però, il significato dell’episodio è allusivo, simbolico: Isacco, infatti, torna a scavare là dove suo padre aveva scavato prima di lui. Vorrei riflettere insieme con voi su questo particolare, soffermandomi su due aspetti estremamente significativi. Anzitutto Isacco, agendo in questo modo, porta avanti la tradizione  paterna, con cui non intende rompere: si pone nel solco tracciato da Abramo in maniera consapevole e decisa. Scava là dove già suo padre, prima di lui, aveva scavato: questo gesto rappresenta l’elemento di continuità con chi lo ha preceduto e, per ciò stesso, gli ha trasmesso sapienza, fecondità, vita. Isacco non ha alcuna intenzione di rinnegare tutto questo: ne riconosce il valore, è animato da gratitudine e decide persino di mantenere i nomi che Abramo aveva dato ai pozzi. Nessuna rottura con il passato, dunque, nessuna novità che calpesta la memoria: soltanto un segno di fedeltà, braccia che tornano a scavare nel punto in cui i padri avevano attinto l’acqua.   Ma, insieme con questo, c’è un altro aspetto, in un certo qual modo speculare rispetto al primo ed altrettanto essenziale: è vero che Isacco riprende quanto fatto dal padre, ma è comunque compito suo riportare alla luce quanto il tempo, seppur breve, ha già provveduto a sotterrare. Questo è il pericolo costante che si corre ogniqualvolta si sostituisce il rispetto per la tradizione con l’ossequio ad essa: si rischia di recarsi presso pozzi che non dissetano più, perché attendono prima essere dissotterrati. Questo è il lavoro che attende ogni generazione: riportare alla luce l’eredità dei padri e delle madri tornando a scavare. Perché quello della tradizione è un pozzo, non una sorgente: pertanto esso va liberato dai detriti che, inevitabilmente, ogni sapere accumula e di cui, anche, deve imparare a disfarsi, se vuole tornare ad attingere acqua che spenga la sete. Quello della fede, infatti, è un lavoro incessante, che procede per sottrazione e non per accumulo: si scava sempre di nuovo e mai una volta per tutte. Anche e soprattutto quando si torna a scavare là dove, prima di noi, avevano scavato i padri e le madri.   Una volta assolto questo compito di fedeltà creativa, non dobbiamo però credere che il lavoro sia terminato. Ultimato il dissotterramento dei pozzi paterni, Isacco ed i suoi cominciano a scavare altrove: anche questo è il compito che attende ogni nuova generazione. Il fatto di limitarsi a ripercorrere le orme dei padri denota difatti mancanza di spirito d’iniziativa: la fede, invece, è chiamata a manifestare anche la sua audacia, la sua intraprendenza. Isacco scava anche in una direzione nuova: e qui si imbatterà nell’inatteso. Narra infatti il nostro testo che, grazie al coraggio di osare, Isacco scoprirà acqua di sorgente: una sorta di corso sotterraneo, che fluisce e non ristagna. Il pozzo dei padri, infatti, in un certo qual modo è acqua cheta: è fresca, limpida, ma anche ferma. Perché sia possibile attingere alla fonte e non appena al pozzo dobbiamo azzardare la novità: scavare là dove nessuno, ancora, aveva messo mano prima di noi. Anche perché il Dio biblico è un Dio personale e la Sua vitalità prorompe soltanto quando osiamo dirigere i nostri passi verso di Lui battendo un sentiero nuovo. Questo non ci impedisce di continuare a recarci ai pozzi della tradizione: ma ci ricorda che un volto ancora sconosciuto di Dio ci attende al di là dei luoghi della sicurezza. L’invito che ci rivolge il Dio biblico è un’esortazione allo sconfinamento: «Va’ anche là dove tuo padre non ha messo mano prima di te: anche lì c’è ancora da scavare, da conoscere, da scoprire».   Il più delle volte non veniamo educati ad una fede che fa della scoperta e della personalità i suoi aspetti nevralgici: veniamo spinti esclusivamente a ripercorrere in maniera incessante strade già battute. La novità e l’originalità, al contrario, sono bandite come elementi pericolosi e destabilizzanti, indicate come luogo dell’arroganza e della presunzione. Ma il nuovo non sotterra i pozzi della tradizione: vi si abbevera, li libera dai detriti, li scopre in senso letterale, ripristinandoli nella loro funzione, che è quella di dissetare. La nuova generazione non si reca immediatamente altrove: prima dissotterra l’eredità dei padri, con fatica e gratitudine. Non la disprezza, non la ricopre di sabbia come fa invece chi crede che il pozzo abbia senso in se stesso e non soltanto in virtù della funzione che riveste. Una volta ripristinata l’utilità dei pozzi ereditati rendendoli luoghi presso cui ci si continua a dissetare, ogni nuova generazione ha però il compito di riscoprire la fede, perché Dio torni a scorrere sotto pelle, incontenibile, come acqua sorgiva di cui ignoriamo la fonte e la profondità. Il Dio biblico, infatti, è in ultima istanza inattingibile, per ciascuno così come per la tradizione che, talvolta, tenta di murarlo entro i propri pozzi. A ciascuno il compito affascinante, inesauribile, di scoprire il Dio che non si lascia imprigionare, che ci chiede di scavare un po’ più in là, dove scorre impetuosa la Sua natura traboccante. Lì, sotto la superficie ancora intatta della novità, Dio ci attende per donare alla nostra fede freschezza e movimento: a noi il compito di avventurarci, di non limitarci a scavare soltanto là dove altri, in virtù della loro esperienza, vorrebbero autorizzarci a farlo.   Domenica 17 Giugno 2012 – Pastore Alessandro Esposito - www.chiesavaldesetrapani.com        



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