Seguono i nomi di rappresentanti delle istituzioni e di politici: Antonio Subranni, Mario e Giuseppe Donno, all’epoca il vertice e l’anima del Ros dei carabinieri; Calogero Mannino era ministro; Marcello Dell’Utri, il braccio destro di Silvio Berlusconi, uno dei padri fondatori di Forza Italia.
«Hanno agito per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato Italiano», recita il capo d’imputazione.
«In concorso con l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi e il vice direttore generale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Francesco Di Maggio, entrambi deceduti».
L’atto d’accusa della Procura prosegue con il nome dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza:
«Deponendo come testimone al processo Mori, in corso al tribunale di Palermo — scrivono i pm — anche al fine di assicurare ad altri esponenti delle istituzioni l’impunità ha affermato il falso e comunque taciuto in tutto o in parte ciò che sapeva.
C’è anche Massimo Ciancimino nella lista dei dodici predisposta dalla Procura: è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, per il ruolo di tramite che lui stesso ha descritto fra il padre e il vertice di Cosa nostra. Il figlio dell’ex sindaco dovrà però rispondere anche di calunnia, per aver accusato — «sapendolo innocente », scrive la Procura — l’ex capo
della polizia Gianni De Gennaro, anche tramite un biglietto contraffatto attribuito al padre Vito.
Questi dodici nomi compongono un avviso di chiusura delle indagini, che prelude alla richiesta di un processo. Ma l’inchiesta sulla trattativa non è ancora chiusa: risultano indagati per false dichiarazioni al pubblico ministero l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, l’ex capo del Dap Adalberto Capriotti e l’europarlamentare Giuseppe Gargani. Come prevede il codice per questo tipo di reato, la loro posizione è al momento sospesa, in attesa della definizione del procedimento principale.
Nell’indagine restano anche le posizioni dell’ex capitano Antonello Angeli e dell’agente dei servizi segreti Rosario Piraino, chiamati in causa da Massimo Ciancimino: il primo, per aver trafugato una copia del papello durante una perquisizione; il secondo, perché sarebbe stato un collaboratore del misterioso “signor Franco”, lo 007 che secondo Ciancimino avrebbe
intrattenuto i contatti fra la mafia e lo Stato. Ma il signor Franco non si è ancora trovato, e su Ciancimino aleggiano ormai da mesi pesanti dubbi.
«Sono convinto che qualcuno, all’interno delle istituzioni, conosce particolari importanti per le indagini, ma preferisce tacere. Forse, per timore, per paura. Forse, per complicità. Ecco perché le indagini devono proseguire». Il giudice Giuseppe Ayala, grande amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, non usa mezzi termini: «Non sono stati certo i mafiosi a fare scomparire il diario di Giovanni Falcone. E non sono stati i mafiosi a depistare le indagini sulla strage di via d’Amelio. È ormai evidente che ci sono veritàancora da scoprire all’interno
delle istituzioni».