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15/06/2012 08:57:50

Investì e uccise una famiglia a Campobello di Mazara: non andrà in carcere. Patteggia due anni, pena sospesa

Gulotta nel gennaio del 2011 in via Vittorio Emanuele II a Campobello di Mazara con la sua Bmw investì in pieno la Fiat 600 con a bordo Baldassare Quinci, la moglie Lidia Mangiaracina e i figli Martina e Vito. Nell’impatto morirono la moglie di Quinci e i due bambini mentre lui rimase ferito gravemente. La  Bmw di Gulotta, fu accertato dalle perizie, viaggiava a circa 120 chilometri orari.

La difesa del Gulotta (rappresentata dall’avvocato Giuseppe Pantaleo) aveva chiesto - durante la scorsa udienza - il patteggiamento, col consenso prestato del pubblico ministero.

Due anni  fa Gulotta, che di mestiere fa il pastore, aveva avuto un altro incidente stradale che aveva provocato altri feriti, gli era stata sospesa la patente, ottenuta nel 2008.

La lettura della sentenza è avvenuta alla presenza dei familiari delle vittime. «Questo verdetto ci lascia l’amaro in bocca a tutti noi che già portiamo un dolore dentro - ha detto Nicola Mangiaracina, fratello di Lidia - perché dimostra come lo Stato può dare la possibilità ad un cittadino di uccidere più persone dentro un centro abitato e di non scontare una pena pesante». «Per l’ennesima volta la giustizia ha perso l’occasione per far capire alle persone che esiste - ha detto l’avvocato Claudio Congedo, che difendeva la famiglia Quinci - perché questa pena ha un disvalore eccessivo rispetto al danno creato». Agli atti dell’istruttoria del processo c’è stata anche una perizia di un consulente nominato dalla Procura che evidenziò il fatto che Quinci, alla guida della Fiat 600 quella sera, non avrebbe rispettato il segnale di stop, facendo così emergere parte della responsabilità nel sinistro dell’ex maresciallo dell’Aeronautica Militare. Al dolore della morte della moglie e dei due bambini, Baldassare Quinci non ha retto e lo scorso luglio si suicidò, impiccandosi alla tettoia di un immobile di campagna di contrada Bosco Vecchio a Campobello, di proprietà del suocero. In una lettera che i carabinieri gli trovarono addosso Quinci giustificò il suo gesto con il fatto che voleva ricongiungersi con la moglie e i figli e auspicava che alla controparte dell’incidente gli venisse riconosciuta la colpa e inflitta la massima pena.
 



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