A nessuno fece il nome, ma alla moglie rivelo' di aver appreso che il generale dei carabinieri Antonio Subranni, suo intimo amico, era "punciuto", cioe' mafioso. Sono elementi che emergono dalla nuova inchiesta sulla strage di via D'Amelio, e in ordine ai quali la Procura di Caltanissetta non ha adottato provvedimenti. "Mi trovavo a casa con mio marito, verso sera, alle ore 19, e, conversando con lo stesso nel balcone della nostra abitazione, notai Paolo sconvolto e, nell'occasione, mi disse testualmente 'ho visto la mafia in diretta, perche' mi hanno detto che il Generale Subranni era punciutu'. Non chiesi, tuttavia, a Paolo da chi avesse ricevuto tale confidenza, anche se non potei fare a meno di rammentare che, in quei giorni, egli stava sentendo i collaboratori Gaspare Mutolo, Leonardo Messina e Gioacchino Sschembri", si legge nel verbale di un interrogatorio della vedova Borsellino, che ricorda anche la passeggiata col marito sul lungomare di Carini, senza scorta, sabato 18 luglio 1992, il giorno prima della strage. "In tale circostanza -ha riferito- Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che cio' potesse accadere. In quel momento era allo stesso tempo sconfortato, ma certo di quello che mi stava dicendo.
Confermo che mi disse che il gen. Subranni era 'punciuto'. Mi ricordo che quando me lo disse era sbalordito, ma aggiungo che me lo disse con tono assolutamente certo. Non mi disse chi glielo aveva detto. Mi disse, comunque, che quando glielo avevano detto era stato tanto male da aver avuto conati di vomito. Per lui, infatti, l'Arma dei Carabinieri era intoccabile".
Alessandra Camassa, che all'epoca lavorava con Borsellino nella Procura di Marsala, ha invece ricostruito che in una delle occasioni in cui si trovava a Palermo per lavoro: nel corso di una discussione riguardante le indagini sulla strage di Capaci, Borsellino si era disteso sul divano e, piangendo, fatto per lui assolutamente insolito, aveva detto che un amico lo aveva tradito. L'episodio e' stato confermato anche dall'altro allora pm di Marsala, Massimo Russo, che era anch'egli presente e ai magistrati nisseni ha raccontato: "Paolo disse: 'mi hanno tradito' o 'qualcuno mi ha tradito'; quindi si alzo' dalla scrivania e, si sdraio', quasi lasciandosi andare, sul divanetto a due posti. Dopo essersi sdraiato -forse perche' sollecitato da una mia domanda su come andavano le cose all'Ufficio di Palermo ovvero perche' stavamo parlando delle ragioni per le quali eravamo venuti presso il Palazzo di Giustizia di Palermo- egli ebbe a pronunciare la frase: 'qui e' un nido di vipere'. Paolo non disse il perche' dell'affermazione". La dottoressa Camassa ha riferito ancora: "La mia impressione fu che Paolo si fosse sentito tradito da una persona piu' adulta ed autorevole, con la quale vi era anche un rapporto d'affetto. Pensai che potesse trattarsi di un ufficiale dei carabinieri, ma cio' esclusivamente perche' ero a conoscenza del grande rispetto e della grande riconoscenza che Paolo nutriva verso l'Arma". Queste convervegenti testimonianze, scrive la Procura di Caltanissetta, "ci consentono di restringere il cerchio, individuando, con ragionevole probabilita' in un appartenente all'Arma dei carabinieri (dal dott. Borsellino cosi' tanto amata e rispettata) il c.d. 'traditore'". Che finora resta senza un'identita' certa. Come senza un nome preciso continua ad agitarsi sullo sfondo di via D'Amelio il signor Carlo-Franco indicato da Massimo Ciancimino come esponente dei servizi segreti suo referente.