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17/02/2012 07:20:07

"Pd. Storia di un partito sull'orlo di una crisi di nervi"

Ma l’ancor in fasce Partito Democratico deve aver ereditato “il meglio” dai suoi predecessori, visto che, bruciando ogni tappa, in soli 4 anni sta raggiungendo vette ancora inesplorate di “sadismo”!

Parlar male del Pd appare quantomeno inelegante… un pò come “sparare sulla Croce Rossa”!
E’ inevitabile, però, di fronte ad un Partito nato “già vecchio”, quasi “insapore” dopo 17 anni di politica in pura salsa (anti)berlusconiana!
Un partito che, mentre il proprio principale avversario (il Pdl) esce morente dalla caduta del suo leader, dal canto suo non riesce “nemmeno per inerzia” a conquistare nuovi consensi, dovendosi accontentare di mantenere le posizioni e lasciare campo agli avvoltoi (di destra e sinistra) in agguato.

Siamo di fronte ad una lenta, inesorabile “agonia”: fin dal 2008 (anno di sua fondazione) il Pd non ha dato dimostrazione di alcuno slancio (o “sussulto di dignità”), collezionando solo “divisioni” interne, “emorragie” politiche e “batoste” elettorali degne del migliore Tafazzi!
Ma dove il Pd è riuscito davvero a superare se stesso è stato con le “primarie”, ovvero le consultazioni interne alla base del centrosinistra per la scelta dei candidati di coalizione (le quali, per un’ovvia legge matematica, generalmente dovrebbero limitarsi a conferire un “imprimatur popolare” al candidato espressione del partito maggiore).
Lo strumento delle primarie, invece, più che in un punto di forza (una formidabile “spinta democratica”) si è oramai trasformato in un “handicap” per il Pd: partito “primo in Europa” ad averle introdotte (quale formidabile strumento democratico di selezione delle candidature) ma anche “unico al mondo” a perderle!


PRIMA VENDOLA… POI PISAPIA, DE MAGISTRIS E ZEDDA… ORA DORIA!

Oramai la storia si ripete sempre uguale a se stessa… Non fa più nemmeno clamore!
Nessun candidato alle primarie per il Pd (anche se indipendente, pur se proveniente dalla società civile, anche se una personalità d’indiscusso valore -quale l’architetto Boeri a Milano-) può sfuggire alla “maledizione di Veltroni”: è sufficiente l’“abbraccio mortale” del Partito ad un candidato perché questo venga automaticamente “fatto fuori”, guardato con sospetto dai suoi stessi elettori, che vedranno in lui solo un “uomo d’apparato”!

Prima venne la Puglia (la doppia vittoria alle primarie, nel 2005 e nel 2010, del governatore Nichi Vendola, nettamente preferito all’on. Boccia, il candidato di D’Alema). E tutti -nel Pd- la presero con filosofia…
Poi vennero Milano, Napoli e Cagliari (le più importanti città in cui si è corso alle ultime competizioni comunali, dove le primarie hanno premiato tutti i candidati “antagonisti” al Pd!). E alcuni -nel Pd- iniziarono a interrogarsi con circospezione…
Oggi è toccato a Genova (l’inaspettata vittoria alle primarie dell’aristocratico Marco Doria, sostenuto da Sel, contro le due donne di ferro del Pd: l’uscente sindaco Vincenzi e la senatrice Pinotti).

Se nel Pd c’è ancora qualche segnale di vita, credo che qualcuno debba adesso seriamente preoccuparsi… (preoccupare del fatto che persino Apicella potrebbe risultare un candidato vincente alle primarie se solo si presentasse come un candidato di rottura, un uomo “antisistema”… insomma un antagonista del Pd!).
Quando “dalemiani” e “veltroniani” (correnti, più che politiche, oserei direi “metapolitiche”!) si sottoporranno ad un “bagno d’umiltà” e daranno ascolto ai ripetuti segnali di “insofferenza” provenienti dal proprio elettorato?

Nel frattempo il Pd, piuttosto che lavorare per ricompattare ed ampliare il centrosinistra, sembra impegnato con tutte le sue forze per dividerlo!
Non è da sottovalutare la scelta di garantire il proprio “decisivo” sostegno:
- a Roma al governo Monti, in alleanza col Pdl e l’Udc
- ed in Sicilia al governo Lombardo, in alleanza col Terzo Polo.
Governi, pur legittimi, entrambi “ribaltonisti” e non legittimati dal voto!
Se è questa la strada che si è scelta per recuperar consensi… attendiamo impazienti le prossime primarie!


DOMANDE “SENZA RISPOSTA” AD UN PARTITO “SENZA FUTURO”…

UN PARTITO SENZA CUORE NE’ SPERANZA?

Cos’è il Partito Democratico?
Il Pd è stato presentato come un’operazione politica mai provata in Italia: il tentativo di unificare sotto l’effige di un solo partito le “radici democristiane” (dell’ex Margherita) con la “storia post-comunista” (degli ex Ds).
Un esperimento politico certamente ambizioso ma che in pochi hanno ancora compreso cosa abbia prodotto: quale sia stato il risultato della “fusione a freddo” di due storie politiche apparentemente inconciliabili se non la nascita di un partito né “pesante” (stile vecchio Pci) né “liquido” (o “leggero”, stile ex Forza Italia), bensì “gassoso” (ovverossia inconsistente, “né carne né pesce”!).
Qualcuno al di sopra di ogni sospetto è arrivato, addirittura, a definirlo un “amalgama malriuscito” (Massimo D’Alema), se non un “tubetto senza dentifricio” (Arturo Parisi)!
La verità è che agli stessi dirigenti del Pd occorrerebbe una “seduta psicoanalitica” di gruppo per aiutarli a rispondere a domande del tipo “chi siamo?” e, soprattutto, “dove vogliamo andare?”.

Perché nasce il Pd?
Il Pd ha visto la luce sulla spinta della necessità di “andar oltre” un centrosinistra dimostratosi tanto capace di vincere le elezioni quanto incapace di governare.
Ma ha rappresentato davvero la migliore cura possibile per il malessere di una coalizione innegabilmente “ipertrofica”?
Gli unici risultati al momento raggiunti sono stati quelli di far sparire la Sinistra (sia comunista che socialista) dalle aule parlamentari e di mettere in crisi esistenziale milioni di elettori (tormentati da domande del tipo “chi votiamo adesso?” o, meglio, “che votiamo a fare?!”).
Il dubbio è che la rivoluzione imposta da Walter Veltroni e le sue scelte (tra cui quelle di accettare un’alleanza elettorale solo con l’Idv e di accogliere in casa la “serpe avvelenata” radicale) sono state dettate, più che da “coraggio politico”, da una “lucida follia”!
Quello che Veltroni ha venduto agli elettori come un “sogno” si è ben presto trasformato:
1- in “illusione” (quella di costruire dal nulla un partito a vocazione maggioritaria, capace di riunire omogenea-mente le anime laiche e cattoliche dello schieramento)
2- in “incubo” (quello di veder presentato come “nuovo” un partito rappresentato da personaggi “vecchi”, logori, consunti: praticamente la trasposizione della vecchia classe dirigente dei Ds e della Margherita)
3- e in “presunzione” (quella di concepire un “partito-coalizione” in un sistema politico, quale quello italiano, che né è né sarà mai bipartitico!).

Dove collocare politicamente il Pd?
Destra, Centro o Sinistra sono schematizzazioni politiche oramai superate, legate alle ideologie di un ‘900 ormai passato.
E’ comunque innegabile (e inevitabile) che nel Pd tentano di convivere due anime culturali ben diverse: quella “post-comunista” e quella “post-democristiana”.
Ma fino a che punto tale convivenza è possibile?
L’impressione è che non sia affatto chiaro cosa il Pd ambisca ad essere, mancando drammaticamente di una chiara “identità politica”.
Il risultato è un partito che “sa di niente”!
Perché mai l’elettorato cattolico dovrebbe convogliare il proprio consenso sul Pd piuttosto che sull’Udc?
E perché mai un elettore “sentimentalmente di Sinistra” dovrebbe preferire il Pd a Sinistra e Libertà o persino all’Idv (partiti quantomeno chiaramente schierati su temi come la lotta al precariato e i diritti civili, la questione morale e la lotta contro sprechi e privilegi della Casta)?
Fino a quando milioni di elettori si dovranno sentire costretti a votare il Pd “turandosi il naso”?
Il Pd oggi è fermo, “impallato” dinanzi a un bivio: due sole le strade che potrà percorrere.
L’una è quella di ambire a rappresentare la Sinistra italiana. Se la scelta ricadrà su questa strada, il Pd dovrà finalmente decidersi a “cambiar volto” (non potendo farsi rappresentare dai vari Enrico Letta, Giuseppe Fioroni o Marco Follini…), “cambiar programma” (non potendo, ad esempio, aver paura anche solo di citare le parole “diritti civili” o “laicità”!) e “cambiar comunicazione” (dovendo esprimere in maniera inequivoca un’idea ben chiara di politica e di società contrapposta a quella fin qui egemone berlusconiana).
L’altra è quella di ambire a riportar in vita le glorie passate della Democrazia Cristiana. Se la scelta ricadrà su questa strada, invece, si punti a costruire un nuovo “Partito Democratico Cristiano” (pronto a far man massa di voti nell’affollato bacino elettorale moderato per così compensare l’emorragia di consensi che si dovrà prevedibilmente fronteggiare a sinistra).
Entrambe sono scelte legittime, ma “inconciliabili”. Ed è giunta l’ora che il Pd metta termine a questo equivoco… (prima che gli elettori mettano termine a questo Partito!).

Un’alternativa al progetto politico del Pd era possibile?
Dopo la disastrosa esperienza di governo Prodi-Padoa Schioppa una svolta politica era “inevitabile” nel centrosinistra, data quantomeno la necessità:
1- di semplificare il quadro politico (essendo improponibile una “coalizione-ammucchiata” di 7-8 partiti!)
2- e di isolare le ali più estreme (di Centro come di Sinistra).
La svolta c’è stata, ed è sfociata nel Pd.
Una alternativa, comunque, era possibile e sarebbe potuta consistere nella rifondazione di un centrosinistra ancorato su due soli pilastri:
1- un partito socialdemocratico sul modello europeo, che puntasse a riunire le forze riformiste della Sinistra
2- ed un partito moderato, che puntasse a riunificare i cattolici riformisti italiani.
Due partiti leali alleati ma dalla identità e dal bacino elettorale di riferimento ben distinti e definiti.
Un’alternativa che, probabilmente, sarebbe risultata “più chiara” agli elettori, “più credibile” sullo scenario europeo e “più logica” rapportata alla realtà politica italiana…

UNA “ROTTAMAZIONE” E’ POSSIBILE?

E’ arrivata nel Pd l’ora di “rottamare” l’usato sicuro?
Rimarrà a futura memoria lo sfogo di Nanni Moretti del 2001, quando, da una gremita piazza Navona, il Regista pronunciò l’ardua sentenza: “con questa classe dirigente non vinceremo mai!”.
In effetti, il centrosinistra non ha praticamente più vinto da allora (salvo l’effimera vittoria dell’Unione di Prodi nel 2006...) ma la classe dirigente di allora è praticamente rimasta la stessa di oggi!
D’Alema “ha fallito” il suo progetto politico più ambizioso (la Bicamerale) e sarà ricordato più come ottimo ministro degli Esteri che come Premier o segretario di partito...
Veltroni “ha fallito” il suo progetto politico più ambizioso (la vocazione maggioritaria del Pd) e sarà ricordato più come ottimo sindaco che come vice Premier o segretario di partito...
Com’è immaginabile, allora, sperare ancora di vincere le elezioni col contributo (o con la regia!) di chi ha solo saputo perderle in questi anni?
La responsabilità principale dei vari D’Alema, Veltroni, Fassino, Bersani è stata l’assoluta “assenza di autocritica” ed “incapacità di assumersi le responsabilità” (traendone, ovviamente, le conseguenze).
Tutto ciò ha prodotto la resistenza ai vertici del Pd di una classe dirigente “sfrontata e fallita”: tutti si sono sempre ritenuti “indispensabili”, nessuno si è mai reso disponibile a fare un passo indietro una volta concluso il proprio ciclo politico.
Il Pd, perciò, avrà un futuro solo nei limiti in cui i suoi elettori sapranno “riappropriarsi” del loro partito, fin ora gestito dai suoi dirigenti come se si trattasse di “cosa loro”!

Come può ripartire il Pd?
Nell’aprile 2010, dalle colonne de Il Messaggero, il Professore (Romano Prodi) ha proposto un profondo rinnovamento in senso “democratico e federale” del Partito, incentrato su tre punti:
1- consentire agli iscritti di eleggere i propri segretari regionali attraverso le primarie
2- sostituire tutti gli organi del Partito con un solo Esecutivo nazionale, formato dai venti segretari regionali (non più da un’infinita serie di benemeriti ed aventi diritto, tra cui ex segretari ed ex presidenti del Consiglio!);
3- ed attribuire all’Esecutivo nazionale il compito di nominare il segretario nazionale ed impartire la linea del Partito (senza più il timore che la stessa sia costantemente messa in discussione dalle varie correnti interne).
Perché non far tesoro di questi suggerimenti?

UN “NUOVO ULIVO” E’ AUSPICABILE?

La prospettiva di un nuovo centrosinistra (un’alleanza Pd-Idv-Sel) rappresenta più un’opportunità, una necessità o una minaccia?
Il motto del centrosinistra in questi anni è stato “uniti per dividersi!”: coalizioni “frammentate e disomogenee” (l’Ulivo prima, l’Unione poi…) non hanno messo alcun freno ai propri “istinti kamikaziani”!
Ma è possibile ritornare a quelle alleanze senza incombere negli stessi errori?
L’impressione è di “si”: salvo stravolgimenti del quadro politico (stile “Prima Repubblica”, per intendersi) e passata la “sbronza veltroniana” dell’“autosufficienza”, è chiaro a tutti che non esiste alcuna alternativa credibile!
Come si può, del resto, proporre un’alleanze che vada da Fini a Vendola (in stile “Comitato di liberazione nazionale”), ancor più amplia della tanta bistrattata “Unione”?
Nonostante le “avance democratiche” al Terzo Polo, così, almeno l’elettorato del Pd pare avere le idee chiare in merito, “bocciando senza appello” una simile prospettiva.
Accade così che:
- mentre alle primarie pugliesi gli elettori hanno premiato Vendola anche per ostacolare una possibile alleanza regionale con l’Udc (favorita dalla candidatura Boccia)
- in Sicilia, per evitare lo stesso esito, il Partito ha impedito lo svolgimento del referendum chiesto dai Circoli locali in merito al sostegno al governo Lombardo!


“Dopo quattro anni siamo usciti dal problema identitario (…). Non siamo più una ipotesi o un esperimento o un partito in cerca di dna(…). Siamo il primo partito italiano(…),ormai esistiamo e non possiamo più permetterci sedute psicanalitiche”: questa la risposta di Pier Luigi Bersani alle critiche rivolte al Partito dopo la sconfitta genovese.
Come interpretarla?
Come un’orgogliosa difesa? O un’amara rassegnazione???

 

Gaspare Serra



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