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29/01/2012 11:00:39

Blasfemia, parola sinistra

Dileggio di Cristo e della fede in lui? Drammatica ripresa di temi indubbiamente biblici? Solo lo spettatore può formulare il suo giudizio. Quello che preoccupa è il ricorso all’accusa di blasfemia o, più precisamente, il fatto che qualcuno pensi debba essere limitato o addirittura impedito ciò che a lui pare blasfemo, cioè lesivo della sua fede. È del tutto lecito pensare che qualcosa sia blasfemo, ma guai a dimenticare che la tolleranza prima e la piena libertà religiosa sono nate e sono garantite soltanto dalla esclusione di ogni tipo di sanzione contro espressioni ritenute da altri blasfeme e di ogni limitazione della libertà di espressione. I firmatari della «Petizione contro gli spettacoli blasfemi» indirizzata all’arcivescovo di Milano, invece, invocano la cessazione dello «scandalo» in base al «pubblico rispetto dovuto alla religione». Se non si ponesse fino allo scandalo – dicono – «si metterebbe in pericolo la libertà della Chiesa nello svolgimento della Sua missione e la stessa convivenza civile».
Traspare in queste frasi esattamente la mentalità che ha piagato l’Europa fino all’avvento delle democrazie liberali: ciò che è giudicato «blasfemo» o «eretico» dalla religione o confessione stabilita, è un danno alla società. Con l’aggiunta della idea tipicamente romana, secondo cui la libertà della chiesa è piena solo quando essa gode di uno statuto speciale rispetto alle altre visioni del mondo, che sono erronee. Certamente nessuno invoca più i roghi, ma guai a dimenticare l’eco sinistra delle parole che usiamo.
Il Codice di Giustiniano (529, 534) introdusse sanzioni penali per i crimini di bestemmia e blasfemia. Viene di lì il sanguinoso intreccio di religione, controllo pubblico dei comportamenti e legge penale che ha piagato tutto il Medio Evo e anche, per secoli, l’Europa moderna, sia nei paesi cattolici sia in quelli protestanti. Per parte nostra basti pensare al rogo di Serveto, alle persecuzioni contro gli anabattisti, alle misure invocate da Lutero (1543) contro gli ebrei, appunto perché accusati di blasfemia.
I paladini della lotta antiblasfema si sono appellati all’arcivescovo di Milano e al Pontefice. L’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Milano ha richiesto «che sia riconosciuta e rispettata la sensibilità di quanti (…) vedono nel Volto di Cristo l’Incarnazione di Dio, la pienezza dell’umano e la ragione della propria esistenza»; ha invitato «a considerare che la libertà di espressione, come ogni libertà, possiede sempre, oltre a quella personale, una imprescindibile valenza sociale», ricordando infine che «la preghiera per manifestare il proprio dissenso non può accompagnarsi a eccessi di qualunque tipo, anche solo verbali». La risposta della Segreteria di Stato segnala che «Sua Santità (…) auspica che ogni mancanza di rispetto verso Dio, i Santi e i simboli religiosi incontri la reazione ferma e composta della Comunità cristiana, illuminata e guidata dai suoi Pastori».
Pur nel sostanziale sostegno alla protesta, non viene ripresa la «parola chiave» della blasfemia e si invita a moderare i toni. Lascia perplessi, ma non c’è da stupirsene, l’incapacità di recepire fino in fondo quelle esigenze di piena libertà, per ogni affermazione di fede così come di ateismo, che è una delle più alte acquisizioni della specie umana. E la libertà è tale solo se è piena e uguale per  tutti, anche per chi dice cose che ad alcuni, pochi o tanti, sembrano blasfeme. La posta in gioco è alta.
Sappiamo già dalla nostra storia quali sinistre conseguenze possano avere certe parole.

Daniele Garrone - in “Riforma”  del 27 gennaio 2012 - www.chiesavaldesetrapani.com

 

 



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