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14/01/2012 05:41:48

Strage di Trapani, l'autopsia conferma: le vittime sono state accoltellate e bruciate

Disoccupato e dedito al gioco d'azzardo, Fiorentino lavorava saltuariamente, portando la pizza a domicilio nelle ore serali. Con l'ex moglie Stefania Mighali, 40 anni, non c'erano buoni rapporti. Dopo l'ennesima lite l'uomo si è recato nell'appartamento di via Omero, nel rione Palma, ed ha assassinato la donna , la figlia di 8 anni, il cognato disabile e la suocera. Poi, dopo aver appiccato le fiamme all'abitazione, si è lanciato dal balcone del quinto piano.

Ieri pomeriggio è stata effettuata l'autopsia sulle vittime della strage: sul corpo di Stefania Migali sono stati trovati evidenti segni di arma da taglio, in pratica è stata accoltellata prima di proseguire il suo folle piano. Segni di violenza sono stati rilevati anche sulla piccola e sulle altre due vittime, che sono state picchiate dopo aver tentato di reagire alla furia omicida del loro aguzzino.

Quando Pietro Fiorentino si è iscritto su Facebook, nel 2010, il suo esordio è stato “Ma quant'e' bello AMAREEEEEE!!! NON C'E' COSA PIU BELLA!!”. Infatti. Non usava Facebook da diverso tempo, l'ultima attività risale al 29 novembre. La foto del suo profilo raffigura sua figlia Daniela all'età di un anno: viso rotondo e paffuto, indossa una cuffietta coordinata con la canottierina, le braccia grassottelle e un accenno di sorriso. Erano diventati “amici” qualche mese prima, e continueranno ad esserlo.

Sulla vicenda è intervenuto ieri il Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo”di Trapani.

“La strage del Rione Palme è davvero emblematica. Chi uccide è un uomo. Le vittime sono la moglie, la figlia piccola, la suocera anziana, il cognato disabile. In un solo colpo ci si trova di fronte a una massiccia violenza di genere mischiata alla soppressione di persone oggettivamente deboli e indifese. Chi ha ucciso era disoccupato, prigioniero del gioco d'azzardo, incapace di elaborare e superare la separazione dalla moglie e dalla famiglia. Talmente incapace di ricucire gli strappi della sua vita al punto da distruggere tutto, cose e persone, per poi ammazzarsi.
Il contesto è quello di un quartiere popolare come altri ce ne sono in questa città e in tutto il mondo. Il contesto è quello in cui l'orizzonte esistenziale è soffocato dalla precarietà, dalla mancanza di prospettive, da un'alienazione quotidiana che stritola tutto e tutti. Sarebbe davvero miope additare questo o quel sindaco, questo o quel servizio sociale, per cercare nelle solite "istituzioni assenti" il confortante capro espiatorio sul quale scaricare un senso di colpa collettivo. Le istituzioni sono sempre assenti, per definizione. Esse si limitano a perpetuare lo stato di cose, a fornire - nel migliore dei casi - dei palliativi che a Trapani non ci sono nemmeno. 

Il malessere sociale non appartiene solo al Rione Palme, e le sue cause sono strutturali. Quella in cui viviamo è una società del tutto simile a un tritacarne, dove le famiglie rappresentano gli incubatori di un disagio profondo, dove gli individui sono ridotti al rango di ingranaggi di una macchina micidiale. "Produci, consuma, crepa" si diceva un tempo. E oggi che non si riesce neanche più a produrre, e sempre più persone vengono progressivamente espulse dal mercato del lavoro, l'alienazione si fa sempre più intollerabile e si trasforma in desiderio di dominio, in incapacità di comunicare con se stessi e con gli altri, in esercizio disperato della violenza.
I fatti di via Omero rispondono brutalmente alle sterili polemiche dei giorni scorsi a proposito di classifiche sulla qualità della vita a Trapani o nella sua provincia. Di certo, non ci voleva tutto questo sangue e tutto questo dolore per capire come si vive nelle nostre periferie o quale sia il livello di divaricazione tra i pochi che stanno benissimo e i tanti che stanno sempre peggio.  
E allora, se tutto questo può avere un senso, pensiamo che fatti di questo genere siano un indicatore allarmante che ci chiama a un'assunzione di responsabilità individuale ancorché collettiva. Bisognerebbe sforzarsi di riparare il tessuto connettivo di questa società ridotta ormai a una poltiglia anomica; si dovrebbe affrontare il degrado dei rapporti umani e sociali riattivando legami di solidarietà e di mutuo appoggio per far fronte al disagio economico ed esistenziale e non sprofondare nella solitudine, a casa come nel quartiere in cui viviamo.
Bisognerebbe ricostruire su queste macerie cambiando completamente punto di vista, rimettendo al centro delle relazioni umane la comprensione, la condivisione e il rispetto.
Se non si esce dall'ingranaggio, restiamo tutti schiacciati”.



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