Da Torino a Mussomeli, ad un certo punto, dopo che ho parlato per un’ora di storie di mafia in provincia di Trapani, dell’impero di Cosa nostra, della politica sporca e paludosa che si respira da queste parti, si alza qualcuno dal pubblico e mi chiede: ma lei cosa farà il giorno in cui prenderanno Matteo Messina Denaro? E io: nulla.
Nulla? Nulla. Nessuna festa, nessun trenino, niente pianti. Nulla. Ma non per spocchia. Il senso di questo mestiere, di tutto questo raccontare non è la cattura di un uomo. E’ liberare la Sicilia dalla cultura mafiosa, cosa ben più difficile, che non si ferma all’arresto di un latitante, ma va oltre.
Allo stesso modo, nell’ultimo fine settimana ho ricevuto decine di telefonate, mail, commenti sull’arresto del Sindaco di Campobello di Mazara, Ciro Caravà, del quale la nostra redazione si è parecchio occupata, con ostinazione, denunciando le inflitrazioni mafiose al Comune, le tangenti, gli affari poco chiari, le idee strampalate legate ai casinò e alle case abusive da sanare con un colpo di bacchetta magica. In cambio da Caravà abbiamo ricevuto minacce, querele, sfottò. Perdiamo un caro cliente, questo ho detto ai miei, in redazione.
Ma come, non festeggiate? ci hanno chiesto. Non abbiamo nulla da festeggiare. Sia perchè non abbiamo tempo, sia perchè il nostro giudizio su Caravà, su quell’amministrazione, sul centrosinistra trapanese, lo abbiamo già dato tempo fa, con le nostre prove ed i nostri ragionamenti, e non ci serve un’indagine antimafia per farci convinti di qualcosa che sapevamo già.
Mi può fare un po’ impressione che l’auotdefinitosi Sindaco della legalità e dell’antimafia pagasse finanche i biglietti aerei ai parenti dei boss mafiosi che li andavano a trovare in carcere. Ma è un effetto che svanisce in poco tempo.
Noi sappiamo chi è Caravà. Noi sappiamo cos’è Campobello di Mazara, cos’è questa terra. Da tempo. Sappiamo queste ed altre cose. Ma non per deduzione. Le vediamo, le tocchiamo con mano.
Qualche giorno fa mentre rincasavo a casa a piedi, si è messo a piovere. Gocce leggere, ma fastidiose. Ad un certo punto mi sono sentito i piedi bagnati. Quando sono entrato a casa, ho controllato le scarpe. Sotto la suola della scarpa destra ho trovato un buco. Me lo sono fatto l’ultima volta che sono andato a Campobello, una settimana fa. Un’altra volta a Partanna, in una strada sterrata abbiamo quasi perso la marmitta dell’auto. Questo fa il giornalismo: bucare le scarpe, sfondare le marmitte. Consumare benzina e suole e tempo.
E fin quando avrò queste scarpe così malconce vorrà dire che avrò camminato e visto cose. La fantasia è un posto dove ci piove dentro, dice Italo Calvino. E il giornalismo è un posto dove ti entra l’acqua nelle scarpe.
Ma una cosa c’è, una cosa piccola, che quest’estate mi ha turbato, e della quale, finalmente mi posso liberare.
E’ una trasmissione di una tv locale. C’è un giornalista (?) riccioluto che intervista il neoeletto Sindaco di Campobello. Ma come dobbiamo fare con questi di www.marsala.it, gli chiede. E lui: ci penseranno i miei legali.
A me non dà fastidio il Sindaco che minaccia querela. Sai che novità. Mi dà fastidio - anzi, mi fa male - il giornalista che ammicca, che dà di gomito al potente, che riduce ogni fatto ad una sorta di questione personale. Di Girolamo lo stronzo. Timo l’eccentrico. Appari quello strano. Rallo il poverocristo. Questo siamo. E di noi si parla, non di quello che raccontiamo.
A me non me ne frega nulla che abbiano portato al gabbio Caravà. Un cliente in meno, per noi. Ma ne arriveranno altri, più fini e sadici. Più grigi.
A me interessano le parole di Lillo Calamia, che conosco poco, e che una volta conoscevo meglio, peccato. Eppure lo stimo. Perchè, da consigliere comunale del PD, ha detto parole pesanti e non di facciata contro Messina Denaro a Castelvetrano, e ha lottato contro la mafia che impone il prezzo dell’olio nelle sue terre. Gli hanno bruciato la casa, a Lillo. E oggi in tribunale raccontava una cosa terribile, e sincera : da quella notte, la notte in cui diedero fuoco alla sua villetta a mare, non fa più politica. Si, va in consiglio. Ma solo per mettere la firma. E basta. Non si può chiamare paura. E’ stanchezza. Basta.
Lillo Calamia dovrebbe fare politica, perchè è giovane e bravo e coraggioso. Fa invece il fantasma.
Altri fantasmi fanno invece politica. Dovrebbero popolare solo i nostri incubi, decidono invece le sorti di questa terra. Non c’è maggioranza, non c’è opposizione, non c’è alternativa. E’ tutta la stessa tavolata, la stessa mangiata. Gli stessi appetiti insaziabili. Oggi questi fantasmi sono tutti schierati, pronti a spellarsi per i complimenti pelosi alle forze dell’ordine, pronti a ripetere con Caravà l’operazione di “damnatio memoriae” fatta con Pino Giammarinaro a Maggio. Tutti sopresi, tutti a biasimare, ad allontanare. Forse stavolta per alcuni è più difficile.
Chissà cosa si inventeranno ora Camillo Oddo e Baldo Gucciardi, i due rais del Pd locale, per dire che loro non c’entra nulla con Caravà, un Sindaco che invece i dirigenti locali del Pd hanno voluto e sostenuto sempre. Chissà cosa dirà Anna Finocchiaro, che nel 2008 si è imbarcata in lista Caravà perchè i suoi 6000 voti erano più importanti dell’indagine per estorsione e voto di scambio che lo vedeva coinvolto in quel momento. Chissà cosa dirà Sergio D’Antoni, che di Caravà è il mentore.
Due anni fa fu avanzata dalla commissione prefettizia la proposta di scioglimento dell’Amministrazione Comunale di Campobello di Mazara per infiltrazione mafiosa. Una mano santa riuscì a bloccare l’iter di questo procedimento, il cui dossier era già sulla scrivania del Ministro dell’Interno Maroni. Non si indignò nessuno. Due anni fa tutto questo si poteva evitare, se la politica non avesse protetto Caravà, che aveva protettori molto in alto, nel suo piccolo paradiso.
Chissà come lo tratteranno ora, povero Caravà. Non troveremo uno che lo abbia mai incontrato, che ci abbia parlato, che ci abbia preso un caffè. Già il senatore del Pd Nino Papania ha dettato la linea: “Non vado a Campobello da anni”. Certo. Senatore non vede, cuore non duole.
Faranno così. Caravà non esiste, Campobello non esiste.
Per fortuna restano le mie scarpe rotte. Quelle, esistono. E continua a pioverci dentro.