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21/10/2011 04:44:06

40 anni dopo. In ricordo delle piccole Antonella, Ninfa e Virginia

Ricordi che, se stimolati, più o meno, affiorano nella mente di ognuno. Un mio vivo ricordo di quell’età è legato al primo giorno di “Sicilia” (in gergo marsalese si usava questo termine per indicare di marinare la scuola) e dall’indomani per la paura di un avvenimento accaduto proprio quel pomeriggio, promisi a me stesso di non ripeterlo più. Sarebbe rimasto un anonimo giorno di “vacanza scolastica” supplementare e non me lo sarei mai ricordato se non per le ore di assenza segnalate sulla pagella, se non fosse stato, ahimè, un brutto giorno di cronaca nera per la nostra città.
Era il 21 ottobre 1971, cadeva di giovedì, e assieme ad un paio di compagnetti di scuola, decidemmo, per quel giorno, di non seguire le lezioni scolastiche ma di andare in giro per la città ed in una sala giochi in “Piazza Loggia”. Tutto per noi procedette bene, non fummo scoperti ma purtroppo dall’indomani tutti noi bambini di Marsala con i relativi familiari eravamo preoccupati perché all’affetto dei loro cari mancavano tre bimbe, scomparse quel pomeriggio, rapite: Antonella, Ninfa e Virginia. Dopo poco tempo una testimonianza utile porta ad individuare una Fiat 500 con tre bambine che cercavano di farsi notare agitando le mani. È il primo indizio, fatto trapelare dall’allora Procuratore della Repubblica, Cesare Terranova.
Si era quasi all’inizio dell’anno scolastico, considerando che a quei tempi iniziava il primo giorno di ottobre e il rapimento delle tre bambine, riportava alla memoria un fatto analogo accaduto verso la fine dell’anno scolastico precedente, esattamente il 6 maggio, poco più di cinque mesi prima. Il rapimento, a Genova, della tredicenne Milena Sutter, figlia del famoso industriale dei lucidi da scarpa. In analogia con il rapimento delle bambine, Milena venne rapita nel pomeriggio all’uscita dalla scuola e anche lì si cercava un’autovettura, notata nei paraggi dell’ultimo avvistamento della ragazzina, non una utilitaria blu come a Marsala, ma una sportiva spider di colore rosso. Nel caso di Milena si pensò subito alla pista del rapimento per chiedere un riscatto per il rilascio. Nel caso marsalese invece era categoricamente escluso perché i genitori tiravano avanti con il loro lavoro, i genitori di Antonella addirittura lavoravano in Germania – come sino a qualche anno prima il papà delle sorelle Ninfa e Virginia - per poter mandare avanti la famiglia.
Da sempre i familiari raccomandano ai figli di non accettare mai niente e nemmeno di farsi accompagnare dagli sconosciuti; ma cosa può passare nella mente di un bimbo quando si scopre che il rapitore è uno zio (Michele Vinci, da quel momento chiamato “il mostro di Marsala”) di una delle bimbe, Antonella, e che la rapì nonostante la presenza delle altre due sue amichette, le sorelline Ninfa e Virginia? Inizialmente una diffidenza verso tutti, confortati dalla rassicurante e continua presenza  di un genitore o di un fratello/sorella più grande che viene a prelevarti quasi sin dentro l’aula scolastica. Poi il tempo passa e il triste ricordo si affievolisce, ritornando alla normalità.
Normalità che purtroppo ogni tanto viene interrotta da altre scomparse, da altri rapimenti  (migliaia ogni anno, senza alcuna distinzione di territorialità: sud, centro, nord, isole) di altri bambini che cadono nella “rete” dell’orco, del bruto, del mostro di turno. Rete che oggi è anche tecnologica e virtuale, rappresentata magari da un computer collegato ad Internet, con i genitori che raccomandano di non dare confidenze agli sconosciuti, non sulle strade della propria città, ma sulle “autostrade” virtuali: i social network, le chat, i vari siti dove è possibile scambiarsi chiacchiere, idee, o anche foto e video tramite messaggerie istantanee.
Sono tanti, troppi, i nomi di bimbi, di ragazzi, che mancano all’affetto dei propri familiari (nel solo 1970, anno precedente alla scomparsa delle bimbe marsalesi, in Italia ne risultano scomparsi oltre 1.800 dei quali oltre 300 - quasi il venti per cento - in Sicilia); Bambini, ragazzi, adulti uccisi o scomparsi per sempre senza lasciare traccia, in una continua sete di violenza, a volte per ripicca, altre per pazzia, altre ancora per vendetta trasversale o magari soltanto per essere stati presenti, nel posto sbagliat e nel momento sbagliato, ad un qualsiasi fatto criminale e quindi testimoni scomodi.
La memoria non ha bisogno di essere spremuta per ricordare alcuni di loro: la piccola Angela Celentano scomparsa a tre anni nel 1996, la coetanea Denise Pipitone scomparsa nella vicina Mazara del Vallo nel 2004 o, sempre della stessa età, nel 2002 dell’uccisione a Cogne del piccolo Samuele Lorenzi. E tanti, molti, troppi altri che evito di ricordare. Oltre alla tredicenne Milena Sutter, rapita nel 1971 e ritrovata sotto una striscia di sabbia, un altro giovane della sua età: Ermanno Lavorini, “Il ragazzo di Viareggio”, rapito il 31 gennaio 1969 e che ha destato molto scalpore per essere stato il primo rapimento di un ragazzo nel dopoguerra, ritrovato fortuitamente, purtroppo cadavere, grazie ad un cane, in una brughiera della Versilia. Un altro triste caso, quasi simile a quello di Marsala, quanto meno per il ritrovamento dei corpi, è la misteriosa morte dei fratellini Ciccio e Tore Pappalardi di Gravina di Bari, di 13 e 11 anni, scomparsi il 5 gennaio 2006 e ritrovati dopo 19 mesi in fondo ai 22 metri di una cisterna di una struttura disabitata, come le sorelline Marchese trovate in fondo ad un pozzo a 30 metri di profondità, morti anche loro di spavento e d’inedia, dopo alcuni giorni, passati invano nei tentativi di risalire da quelle profonde oscurità.
Nel caso di Marsala, come riportano i giornali dell’epoca, il rapitore, Michele Vinci, era anche a detta dei suoi colleghi e datori di lavoro un tipo sempre taciturno ed introverso, confermato dalla moglie Anna Impiccichè al giornalista Enzo Magrì: “Lui sempre taciturno, in ogni occasione, anche durante il periodo di fidanzamento veniva a casa, si sedeva e non spiccicava una parola” oppure da sposata quando gli diceva “E che modo è questo di venire a casa e di non dire una parola. Ma che sono io, una sedia, un tavolo, una bottiglia? Ma non merito neppure un: huuu haaah, come si fa a un animale?” Seppur invogliato, non parlava mai e “se non se ne andava a letto si metteva sulla sedia con le braccia conserte e la testa in giù”. L’unica suo diversivo che lo portava a non essere introverso era la passione per Claudio Villa, anche in questo caso confermato dal datore di lavoro e dalla moglie. Il primo scoprì che con alcune mance che gli dava, in supplemento allo stipendio, si comprava i dischi del “reuccio” di Trastevere, come confermato dalla moglie: “quando ci siamo sposati, il primo acquisto che fece furono tutti i dischi di Claudio Villa”. E,continuando: “ha pure vinto una coppa d’argento ad un concorso nonostante avesse vergogna di andare a cantare in pubblico”. E le parole della moglie continuano, raccapriccianti, pensando all’orribile morte della nipotina (legata con il nastro adesivo e bruciata), quando al giornalista dice che “quando si andava in casa di mio padre o in campagna, lui prendeva Antonella e le diceva: vieni che ti canto una canzone. E cantava ad Antonella e alle altre nipoti decine di canzoni”. Dopo la sua confessione, psichiatri, criminologi e psicologi si misero al lavoro per identificarne il profilo criminale, capeggiati dal luminare dell’epoca, il triestino Gastone Canziani, docente di psicologia all’Università di Palermo ed uno dei primi otto in Italia ad essere cattedratico in questa facoltà e che aveva studiato decine di pazzi, paranoici e criminali. Ma forse non c’era bisogno di scomodare tanti professionisti, bastava ascoltare le parole della moglie: “non è un mostro né un folle, è solo un grande attore”.
Se l’unica passione di questo “mostro,” “orco”, bruto” o… attore era il canto delle canzoni di Claudio Villa, trasmessa anche alla sa nipotina Antonella,  la passione della piccola Virginia era lo studio e quello di Ninfa sicuramente il disegno. Nel libro di Nino Ienna edito ad ottobre 2010“Mai più l’ombra di un sorriso, la tragedia delle tre bambine di Marsala dimenticate troppo in fretta”, vi sono quattro pagine tratte dai quaderni scolastici; in tre vi sono raffigurate abitazioni e nella quarta vi è disegnato nove volte il sole con altrettante scritte “il sole è bello”. Sole che non hanno più potuto rivedere, strappate troppo presto ai loro affetti. Sole che il bruto non ha potuto vedere bene per tanti anni ma che dal 2002 è libero di poter guardare quando e come vuole. Non rilascia interviste ma a questa persona vorrei chiedere se ha ancora il coraggio di ascoltare e cantare le canzoni del suo cantante preferito, canzoni che cantava alla propria nipote e che è stata uccisa in maniera brutale.
Infine un appunto alla Commissione toponomastica del Comune di Marsala che si occupa di dare un nome alle strade del territorio comunale: Negli ultimi anni sembra si sia impegnata più a cambiare nome ad alcune vie già con un proprio nome che ad intitolarne altre che nome non ne hanno: emblematica la via Favorita passata a chiamarsi via Salvatore Amodeo e di nuovo - dopo una raccolta di firme dei residenti - via Favorita o di via Circonvallazione dello Stadio prontamente modificata in via Dante Alighieri o di via Sardegna da pochi mesi modificata in via Castello ed altrettanto emblematico è l’assoluto silenzio ad una raccolta di firme consegnata dall’”Associazione Socio Culturale Porta d’Occidente” di Marsala, con la richiesta di intitolare il tratto di strada del luogo dove furono rapite le piccole, alle stesse bambine innocenti. Tale tratto di strada che congiunge la via Nino Bixio alla via Dante Alighieri, nei pressi del comando di Polizia Municipale, non ha residenti e nessun esercizio commerciale e quindi non comporta alcun  disagio a nessun cittadino. Grazie però alla caparbietà della citata Associazione ed alla disponibilità, gentilezza e generosità del proprietario sig. Baldassare Scimemi, venerdì 21 ottobre, dopo la Santa Messa delle 10,30 officiata in chiesa Madre in ricordo delle tre vittime, alle ore 12 vi sarà la scopertura, su proprietà privata,  con relativa benedizione della lapide in ricordo del rapimento, alle quali l’intera cittadinanza è invitata a partecipare.

Sergio Oliva



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