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30/09/2011 04:13:16

Mons. Mogavero: "Immigrazione non è solo emergenza momentanea ma fenomeno culturale"

Quale bilancio possiamo fare per quanto riguarda “Sponde”?

Sponde è sempre un momento importante perché ci permette di annodare alcune fila che abbiamo avviato in questi anni. Sia con i paesi a sud del mediterraneo, sia con le chiese. Quest’anno il tema dell’immigrazione è stato molto caldo, perché l’attualità si è imposta quasi con prepotenza alla nostra attenzione.

Come avete affrontato il tema immigrazione?

Abbiamo cercato di affrontare il tema nelle sue varie prospettive, sia politica, sia di sviluppo che di dialogo interculturale. Il problema dell’immigrazione non è marginale ma fa parte della nostra storia attuale. Quindi bisogna affrontarlo senza  pensare che in poche settimane sarà tutto finito. Ma dobbiamo da una parte andare incontro a quella che, forse impropriamente, viene chiamata “fase emergenziale”.  Dall’altra parte, bisogna offrire occasioni di sviluppo e benessere ai popoli proprio nelle loro terre.

C’è forse un limite nella gestione dell’immigrazione da parte del Governo che è quello di considerare tutto sia sotto un aspetto di sicurezza (ad esempio il reato di clandestinità), che di emergenza. Cosa si può fare concretamente per cambiare questo tipo di atteggiamento che sembra far parte di una cultura della paura?

Credo che l’approccio primo debba essere di tipo culturale, inteso in senso ampio. Cioè dobbiamo renderci conto che chi viene qui non intende turbare la nostra pace e mettere in discussione il nostro benessere (che è messo in discussione da altri fattori in queste ultime settimane) ma intende dare un senso e una dignità alla propria vita e in quanto tale ha bisogno di un dialogo vive in una realtà più favorevole a quella dei paesi rivieraschi. E allora metterci accanto e favorirne il cammino.

Come?

Non soltanto sotto il profilo economico ma anche istituzionale. Penso all’accompagnamento che si potrebbe fare ai paesi come la Tunisia, l’Egitto che stanno attraversando un periodo di transizione politica in attesa di consolidare il sistema di politica e del governo succeduto alle rivoluzione dei primi mesi dell’anno.

È vero anche che ci sono tanti interessi di ordine economico in quella zona del nord Africa.

Certo. Necessita quindi una collaborazione economica che prescinda dal problema petrolio, perché è assurdo che noi ci siamo interessati alla sponda sud del Mediterraneo soltanto per carpire il petrolio alla Libia e il gas all’Algeria disinteressandoci di quelle che erano le condizioni sociali, politiche e culturali di queste realtà. Quindi quello che noi possiamo fare è renderci conto del fenomeno, che non possiamo chiamare emergenza o problema.

Quindi è qualcosa di più di una momentanea emergenza?

È un fenomeno culturale,  le migrazioni hanno caratterizzato la storia dell’uomo. In Italia abbiamo fatto tragedie perché ad oggi abbiamo accolto circa 60 mila migranti e la Tunisia, che è solo un quinto dell’Italia per numero di abitanti, da quando è iniziata la rivoluzione in Libia ha accolto da 500 a 600 mila profughi e non hanno gridato allo scandalo. Dobbiamo essere anche realistici e tenere conto che i fenomeni di stabilità o instabilità delle nazioni vicine ci interessano tanto quanto i problemi economici. Perché se una nazione ha una instabilità politica forte nel Mediterraneo ci penalizza forse più delle borse che in questi giorni vanno a picco.

Lei è stato a Piacenza per il Festival del Diritto. È stato chiamato a dialogare con Orazio La Rocca e avete parlato di umanizzare la tecnica. Come si umanizza la tecnica? Lei ha parlato dell’uomo che deve armarsi di una tecnica per sconfiggere questo delirio di onnipotenza della nostra società. Ci spieghi.

La sfida più grande che l’uomo moderno deve affrontare è quella di non lasciarsi sopraffare da ciò che egli stesso ha inventato, non diventare oggetto in una impresa in cui diventa soggetto e protagonista. Sappiamo tutti che rischiamo di finire invischiati nella corsa all’ultimo modello di telefonino, Ipad, Iphone, cose interessantissime e utilissime ma tutto sta nel riuscire a trovare un certo equilibrio. Anche qui è una questione di carattere culturale. Si umanizza la tecnica dando un’anima alla tecnica facendo in modo che essa non uccida l’uomo che invece deve riuscire a dominarla proprio perché è una sua creatura.

In tutto ciò cosa c’entra il berlusconismo? Lei ha detto che il berlusconismo è il virus dei giovani.

In occasioni come quella di Piacenza, per quanto mi riguardava non c’entrava proprio per niente, però tirato in ballo, visto che si parlava anche di modelli culturali, è venuto fuori questo discorso. Per berlusconismo intendo tutto un sistema di pensiero per il quale non è più al centro la persona o il bene comune ma una visione della società nella quale i valori veri vengono messi da parte a tutto vantaggio dell’interesse personale nelle forme e nelle modalità discutibili coinvolgendo coloro che hanno più o meno un’inclinazione a seguire il proprio leader.