Ho sempre pensato che il dogma dell’infallibilità costituisse una prerogativa esclusiva del Romano Pontefice, ma mio malgrado ho dovuto apprendere che ai nostri giorni esso appartiene anche alla vita dei partiti politici, che ne dispongono ex cathedra al pari della massima autorità spirituale.
Accade così che nella nostra città i rappresentanti del Pd in Consiglio Comunale consentano indirettamente, attraverso un poco felice gioco di presenze ed assenze durante la votazione di un atto propedeutico all’approvazione del bilancio, un successo per l’amministrazione di centro destra.
E che giustifichino tale scelta con il senso di responsabilità nei confronti dell’istituzione (evitare il dissesto finanziario) e dei cittadini (assicurare l’espletamento di servizi primari).
L’evento, per l’insita contraddizione politica, getta scompiglio anche all’interno della dirigenza nazionale del Pd, tanto da diventare oggetto di un sarcastico commento vergato da Pippo Civati sul suo blog, ma soprattutto non gode di molto seguito logico.
Insegnano illustri politologi che in democrazia chi assume la responsabilità di un atto nei confronti dei cittadini (e questi non potrebbe che essere la maggioranza che in quel momento è al governo), deve avere anche il potere di determinarne i contenuti e l’approvazione.
E che se questo rapporto viene invertito o edulcorato, non si viola solo una regola del gioco: si lascia una parte dei cittadini priva di rappresentanza, perché nessuno è più in grado di parlare efficacemente in loro nome.
Così la Segreteria del Partito chiede lumi, cerca di comprendere le arcane ragioni di una posizione politica tanto difficile da spiegare da non essere stata compresa né dalla stampa, né dai Partiti del centrosinistra, né tanto meno dall’elettorato.
Convoca il massimo organo del Partito, l’Assemblea appunto, quello nel quale ogni iscritto ha voce e dignità di espressione.
Ma inopinatamente viene investita da un tempesta organizzata ad arte: con un gioco di prestigio, quelli che dovrebbero rendere conto delle loro ambigue posizioni diventano accusatori, lesti all’invettiva personale che copre in tutto la povertà argomentativa, dirottano altrove la discussione.
Uno su tutti recita a soggetto. Crede di avere la chiave per apparecchiare la defenestrazione: il Partito va difeso sempre e comunque!
Ecco, appunto, il dogma dell’infallibilità in salsa moderna, che applicato ad un organismo politico fa quanto meno sorridere.
Anni di dottrina politica evaporano, ben poca cosa di fronte a quello stesso argomento che aspramente critichiamo quando viene utilizzato dall’uomo d’Arcore.
Mi dispiace cari amici, ma il Partito non va sempre e comunque difeso. Quando vengono commessi degli errori, quando l’azione politica o amministrativa è segnata da ombre, bisogna avere il coraggio di recuperare trasparenza e coscienza critica.
Il Partito non va e non può essere sempre difeso quando qualcuno al suo interno, specie se si tratta di dirigenti in posizione apicale o comunque rappresentativa, sbaglia.
Quando si pretende di farlo diventare autoreferenziale e resistente all’ingresso di energie nuove.
Quando implode in miasmi interni senza alcuna capacità propositiva, senza più alcuna attrattiva nell’elettorato.
Perché di contro, in nome del dogma dell’infallibilità, tutto può diventare astrattamente difendibile, anche le ben presto dimenticate ruberie commesse durante gli anni di Tangentopoli o i recenti fatti di cronaca che, anche a sinistra, vedono coinvolti maggiorenti del Pd.
Chissà cosa avrebbe pensato l’arguto teorico della difesa ad oltranza, se gli avessero spiegato che, per logica aristotelica, a voler difendere il Partito avrebbe dovuto cominciare proprio dalla sua massima espressione cittadina, ovvero dal suo Segretario! Ma la vista è appannata.
Quanti oggi, in un momento delicato per la vita della città che dovrebbe preludere al ricompattamento dei ranghi in vista delle prossime sfide elettorali, si assumono la responsabilità di questo dissidio all’interno del Pd legittimano, con il loro operato, le scelte imposte dall’esterno, quelle basate su alleanze (o forse sarebbe il caso di dire le subordinazioni) politiche incomprensibili ai più, ma funzionali ai giochi elettorali di pochi, le rappresentanze vicarie. Nessun nuovo percorso.
Sono gli stessi, che in nome del dogma dell’infallibilità, faranno in modo ancora una volta che Marsala abdichi al ruolo di protagonista della politica che conta, perpetuando il limbo dove non germoglia alcunché.
E’ dovere primario di quanti hanno a cuore le sorti di questa città, non stare a guardare che tutto ciò semplicemente accada.
Avv. Vincenzo Pantaleo
Componente del Coordinamento
del Circolo Pd di Marsala