Helmi è un ragazzo di 26 anni. Viene da Mahdia, in Tunisia. In Italia è arrivato il primo febbraio 2011, a bordo di una barca soccorsa dalla nostra guardia costiera al largo di Lampedusa dove vagava da tre giorni alla deriva con sei ragazzi a bordo. Da allora non ha più rivisto il mare. Né una piazza, una casa, un volto amico, una donna, dei bambini. Helmi infatti è stato privato della libertà subito dopo il suo arrivo. Da Lampedusa l'hanno trasferito al centro di identificazione e espulsione di Torino. Lì si è fatto cinque mesi e venticinque giorni di reclusione, fino a quando, a fine luglio, l'hanno trasferito a Palermo per essere espulso. Ma in aeroporto qualcosa è andato storto, il console ha rifiutato di identificarlo perché secondo gli accordi con il ministro dell'Interno Maroni i tunisini sbarcati prima del 5 aprile hanno diritto a un permesso umanitario di sei mesi. Così l'hanno riportato in un Cie, stavolta a Milo, Trapani. E qui è iniziato il suo dramma con la burocrazia italiana. Dallo scorso 5 agosto infatti, Helmi è tecnicamente sequestrato dallo Stato italiano. Perché è vero che la nuova legge prevede un limite massimo di 18 mesi di detenzione nei Cie, ma allo stesso tempo impone ai giudici di pace di prorogare ogni due mesi l'ordine di trattenimento. Bene a Trapani nessun giudice ha mai prorogato il trattenimento di Helmi. L'avvocato che lo segue ha presentato un'istanza per chiedere l'immediato rilascio. Se la legge in Italia valesse ancora qualcosa, qualche dirigente andrebbe incontro a un processo penale per sequestro di persona.
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