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24/06/2011 04:42:39

Processo d'appello alla mafia di Marsala. Chiesta la conferma di tutte le pene

Gli imputati più di un anno fa, il 21 aprile 2010,  sono stati condannati, con rito abbreviato, a complessivi 37 anni di carcere dal gup palermitano Sergio Ziino.
La pena più severa, dieci anni di carcere, in primo grado è stata inflitta a Vito Vincenzo Rallo, di 51 anni, al momento dell'arresto considerato dagli inquirenti il nuovo reggente della cosca. Ma il gup Ziino ha escluso tale ipotesi, facendo cadere l'aggravante di «capo mafia».

Rallo, secondo gli investigatori, aveva  pianificato e realizzato direttamente le attività estorsive, sovrintendendo alla gestione della cassa comune della cosca, e rappresentando la stessa famiglia nei rapporti con le altre articolazioni territoriali di Cosa nostra.  Ma nel corso del processo il suo ruolo è stato ridimensionato, tanto da far cadere per lui l'aggravante di nuovo capo mafia di Marsala. Insomma, la cosca, dopo gli arresti che l'hanno decapitata negli anni - secondo i giudici di primo grado - non aveva in Rallo un punto di riferimento consolidato. E a sostegno di questa tesi i difensori hanno fatto leva sui forti contrasti all'interno dell'organizzazione, dove gli stessi ordini del Raia non venivano eseguiti o venivano disattesi.

Ad otto anni, invece, fu condannato Giuseppe Francesco Raia, di 44 anni, che secondo l'accusa gestiva il racket delle estorsioni per conto dei boss. Si sarebbe occupato anche della gestione della cassa comune.

Queste le altre pene decretate dal gup lo scorso anno: 7 anni a Maurizio Bilardello, di 42 anni, fratello naturale di Raia, 6 anni e mezzo a Giuseppe Gaspare De Vita, di 39, podologo e titolare di un centro scommesse, 4 anni, 5 mesi e 10 giorni a Francesco Messina, di 46, imprenditore edile, 1 anno, 6 mesi e 20 giorni a Dario Cascio, di 30.

Tra le accuse a vario titolo contestate, l'associazione mafiosa, diversi casi di estorsione e per alcuni anche la detenzione di armi da fuoco.

Dopo la requisitoria, sono intervenuti anche i legali di parte civile. E cioè quelli della locale Associazione Antiracket e di vittime delle estorsioni: l'azienda Eurofish e l'imprenditore Andrea Giovanni Piccione. Tra il 2003 e il 2008, l'azienda ittica sarebbe stata costretta a versare, periodicamente, delle somme di denaro (rate da 5 mila euro). Quindi, è stato il turno di due avvocati difensori: Paolo Paladino (per Rallo e Raia) e Luigi Pipitone (per Messina). Alla prossima udienza, il 14 luglio, interverranno gli altri difensori (Diego Tranchida e Stefano Pellegrino).

L'operazione "Raia" fu condotta nel Luglio 2009 dalla squadra mobile e dai carabinieri di Trapani.

Tutto partì da alcuni pizzini trovati nel covo di Montagna dei Cavalli (a Corleone) di Provenzano. In questi pizzini Matteo Messina Denaro spiegava al capo di Cosa nostra che lui non poteva accontentarlo in alcune richieste estortive nel territorio marsalese perchè gli arresti degli ultimi anni avevano decapitato la cosca.

In particolare, in un pizzino datato 1 febbraio 2004, il boss latitante di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, spiegava a Provenzano di non potere esaudire una sua richiesta relativa al territorio di Marsala, poichè la gran parte degli uomini era stata arrestata, «pure i rimpiazzi e i rimpiazzi dei rimpiazzi», e pertanto auspicava la prossima scarcerazione di coloro che erano stati condannati a pene più lievi.

Gli stessi concetti sono ribaditi in un altro pizzino datato 25 aprile 2004 e indirizzato sempre al boss corleonese, dove Matteo Messina Denaro sottolinea che «la zona è ancora scoperta».

In effetti da un monitoraggio effettuato dagli investigatori, è emerso che tra il 1999 e il 2005 diversi esponenti della cosca marsalese furono arrestati nel corso di numerose operazioni antimafia, ma già dai primi mesi del 2007, numerosi affiliati cominciarono a riacquistare la libertà, cercando di riorganizzare la cosca. Ma l'operazione "Raia" del 2009 ha scompaginato tutti i loro piani.