Nel dilagante consumismo foto-video riprodotto, un umile pennello e una tavolozza di colori guidati dalla gioia di fare, un cuore immenso e una personalità autonoma garantiscono una specifica originalità? E una mano immune da incertezze e prevenzioni come riesce ad attivare l’antico prodigio della pittura? Il tentativo di risposta è nella collettiva curata dall’Ente Mostra di pittura contemporanea “Città di Marsala”, presso il convento del Carmine, in omaggio all’articolo 9 della Costituzione e in ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Nei venti partecipanti, pari alle singole Regioni, gli esiti chiaramente si differenziano secondo modi di interazione con il proprio territorio di provenienza. Gianquinto, dal lontano Veneto, offre una stesura bilanciata di colori, ricca di richiami culturali e povera di pedanteria. Che il manufatto sia riferito ad un angolo boschivo, tipico del bel Paese, non occorre l’occhio di Venere. Che la dinamica mercuriale di segni e linee, rischiarata dalla timida luce del plenilunio, non ignori il disegno complessivo è indubbio. Ma, è l’arguzia del mestiere ad allontanarlo dalla descrizione passiva ed inutile del dato materiale, oppure si assiste al sogno di un’anima che con levità d’artista sussurra una melodia con parole di memoria petrarchesca? Se la libertà creativa nasce dalla conoscenza e la pittura altro non è che atto di conoscenza, come pensarono Leonardo e lo stesso Picasso, la ricerca consapevole, né gratuita nè acritica, è in Gianquinto grammatica quanto metodo di lavoro, contro ogni falso e interessato sperimentalismo. Dall’idillio all’elegia le variazioni cromatiche assumono opposte valenze: dall’estremo Friuli, Music prospetta un paesaggio contratto, sfibrato, indifferente all’ornamento e più lo incupisce più aumenta in chi osserva una condizione di sconforto pietoso. In sostanza, la realtà oggettiva si trasforma in proiezione di una tragedia personale, quale fu la deportazione, negli anni giovanili, nel lager di Dachau. Dalle luci smorzate e da un paesaggio silente, per dirla con de Chirico, prorompe la natura rigogliosa della terra toscana e Mattioli, con mano agile e felicità inventiva, ne esalta l’incontenibile esuberanza. Un’attenzione sempre più distaccata dal dato sensibile si avverte in Birolli, che presagisce una svolta epocale nella meccanizzazione dell’agricoltura. Ben altro paesaggio e ben altro messaggio si manifestano nel dipinto della Raphael: lavorando non sulla realtà come appare ma come la intuisce dentro, le immagini fluttuano gioiosamente, si rincorrono lietamente come in una favola, imparentandosi alle visioni di Klee. Il paesaggio aspro, brullo e impervio della Basilicata è contenuto nella pennellata matissiana del medico-umanista Carlo Levi, figlio adottivo di quella Regione. Ma è con la presenza dell’epica contadina che il paesaggio diviene teatro di emancipazione dai residui feudali e reclama con dignità una nuova coscienza sociale, come testimonia l’espressiva opera di Treccani. Al pari di Mino Maccari e Tono Zancanaro, Ernesto fu uomo solare, semplice, generosissimo e da specialista dell’acquarello meriterebbe maggiori considerazini che i manipolatori del mercato, ahimè, rifiutano. Nel rappresentare la nostra isola, Guccione ripropone il contrasto fra finito e infinito, nella dialettica di staticità e di dinamismo; riprende il gioco di luci e di ombre, nel dissidio di fondo tra natura e cultura. Altre opere potrebbero essere discutibili. Al visitatore la valutazione, senza dimenticare il monito del poeta Simonide: “Tutto è bello, purchè non sia turpe”.
Peppe Sciabica