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09/04/2011 10:02:08

Studio Biblico: Filippo lascia Gerusalemme

  • Filippo, dunque, fa parte di coloro che, a causa della persecuzione seguita all’uccisione di Stefano, con il quale avevano condiviso, oltre al servizio, anche -assai probabilmente- il modo di intendere, annunciare e vivere l’evangelo, sono, come dice il testo, costretti a vagare. Costoro vivono l’annuncio come itineranza, non appena in senso metaforico, ma concreto e quotidiano: e, nonostante (o chissà, forse proprio a causa del fatto che) dovessero vivere la condizione dei fuggiaschi, il loro è un lieto annuncio (ευαγγελιζομενοι -«euaggelizomenoi» v. 4).
  • Chiarisce immediatamente il testo: questo lieto annuncio altro non è che la parola, ovverosia, le Scritture che il popolo ebraico leggeva ed interpretava da secoli. In questa parola, non altrove, risiede a loro giudizio il lieto annuncio: tutto sta, chiaramente, nel significato che a tale parola si conferisce.
  • Filippo, ci dice il nostro testo, scende verso la Samaria e lì si dedica a questo stesso annuncio. I Samaritani erano a tutti gli effetti parte del popolo ebraico, sebbene non condividessero la configurazione che il giudaismo del tempio, legato alla classe sacerdotale sadducea, aveva assegnato all’ebraismo.
  • È molto curioso, a tale proposito, rilevare che Filippo, scacciato da Gerusalemme a causa degli attriti con la classe sacerdotale del tempio che aveva condannato aspramente tanto Gesù quanto Stefano, si diriga proprio in Samaria, terra che, da secoli, non nascondeva il proprio aperto dissenso nei confronti di questa maniera di vivere e di interpretare l’ebraismo.
  • E altrettanto curioso è il fatto che il Quarto Vangelo, unico tra i resoconti canonici, narri del passaggio di Gesù attraverso la Samaria e della sua attività pubblica in quella terra (Gv 4:1-42) che, così come quella di Filippo presentata nel libro degli Atti, fu ben accolta (Atti 8:1-13) e diede i suoi frutti.
  • Insieme con il rilievo dato alla diaconia, l’accenno alla Samaria costituisce una specificità del testo giovanneo: al punto che non sembra affatto da escludere l’ipotesi secondo cui la comunità entro la quale venne redatto il Quarto vangelo includesse, al proprio interno, proprio degli ebrei samaritani, in aperto ed annoso dissenso con l’istituzione del tempio gerosolimitano e con la sua classe sacerdotale (che, nel vangelo secondo Giovanni, rappresenta la vera antagonista di Gesù, del suo messaggio e della nascente comunità giovannea). Verificheremo l’attendibilità di tale ipotesi nel corso di uno studio più approfondito del testo di Gv 4:1-42.L’ipotesi risulta -sia pure soltanto indirettamente- avvalorata dall’accezione negativa che, innegabilmente, il Quarto Vangelo conferisce all’espressione i giudei e che, non è da escludere, può affondare le proprie motivazioni proprio nel fatto che la comunità giovannea annoverasse al proprio interno membri provenienti dall’ebraismo dissidente di matrice samaritana.[1]
  • Il nostro brano si conclude con un esplicito accenno al contenuto dell’annuncio recato da Filippo: egli, a partire dalle Scritture ebraiche e in assoluta fedeltà ad esse, proclama che il cristo in esse annunciato altri non è se non Gesù di Nazaret (Atti 8:12). Centro della sua interpretazione delle Scritture, dunque, è l’identificazione di Gesù con quel messia (in greco χριστ?ς/cristòs -cristo-) che esse annunciano, conferendogli il volto specifico ed inconfondibile del servo sofferente presentato dal profeta Isaia (si vedano, in proposito, i cosiddetti «Canti del Servo» contenuti nel Deutero (o Secondo) Isaia -capitoli da 40 a 55 dell’omonimo libro profetico-).
  • Nell’utilizzo dell’articolo (il) il nostro testo intende sottolineare come quella del cristo rappresenti una funzione, un ruolo, un’aggettivazione: tutti aspetti che lo mettono con Dio in un rapporto di intimità e di comunione profonda e totale, in quell’ottica di piena conformità della propria volontà alla volontà del Padre che Gesù incarnò e che chiese anche a noi, come sue discepole e suoi discepoli, di ricercare nelle nostre vite e nella nostra prassi.
  • Un’accezione del cristo, dunque, pienamente umana: il che, contrariamente a quanto alcuni temono -a mio avviso ingiustificatamente, ma non certo ingenuamente-, non prelude affatto al rischio di un allontanamento dal Dio biblico, che è Dio che nella piena umanità rispecchia il Suo volto e si lascia riconoscere come Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e Dio di Gesù. In questo testo, come in molti altri, non vi è nulla che lasci intravedere l’esistenza di una natura divina in Gesù: in lui vi è, piuttosto, la presenza vivente del Dio d’Israele come Dio di una giustizia a misura dell’Amore e dunque improntata alla misericordia. Un Dio dell’accoglienza che si dichiara dalla parte degli sconfitti di questa terra, di quante e quanti subiscono l’oppressione a causa dell’ingiustizia: non è il caso di cercare altrove che in questo, a mio giudizio, la divinità di Dio e quell’umanità che ne rappresenta l’inveramento più nascosto ma, insieme, più pieno e profondo.
past. Alessandro Esposito  -  www.chiesavaldesetrapani.com

               

 

[1] Torneremo su questa complessa questione nel prosieguo dei nostri studi relativi alle ipotesi circa l’ambiente entro cui fu redatto il Quarto Vangelo. Sulla relazione tra evangelo giovanneo e influenze samaritane, vorrei segnalare, in particolare, il testo di Oscar Cullmann Origine e ambiente dell’evangelo secondo Giovanni, Marietti, Torino, 1976. Circa l’analisi del termine ιουδαιοι (iudaioi «giudei») offre un’analisi al contempo sintetica ed approfondita il testo di Valerio Mannucci Giovanni. Il vangelo narrante, Dehoniane, Bologna, 1993 (in particolare, le pp. 154-163).



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