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06/04/2011 06:27:29

Non può vedere i figli. Sesto giorno di sciopero della fame per Giovanni De Santis

Il Tribunale  Il Tribunale gli impone di vedere i bambini due giorni la settimana sotto la rigida vigilanza dei Servizi sociali. Lui, per protesta, è giunto al sesto giorno di sciopero della fame, e ieri ha consegnato ai giornalisti questo testo:

Un’ordinanza del Tribunale di Trapani, emessa il 31 Marzo u.s. nell’ambito della causa di separazione legale che mi riguarda, mi obbliga a vedere i miei figli presso i Servizi Sociali del Comune di Trapani, il martedì e il venerdì, dalle ore 16 alle ore 19 in un cosiddetto “spazio protetto”, ossia sotto vigilanza delle assistenti sociali.

La mia colpa?: ho tenuto con me arbitrariamente la mia figlia maggiore, nelle more che i Giudici mi facessero capire – così come avevo chiesto attraverso le procedure di legge - per quale motivo la bambina avesse il terrore al solo pensiero di tornare a casa della madre e in considerazione del fatto che avevo prove di almeno un episodio in cui la piccola aveva subito percosse che andavano ben oltre la semplice sculacciata materna!

So che sono uno dei tanti padri che scontano il favor che la giurisprudenza costante garantisce alle madri ma essendo vivo e pensante non riesco ad avere percezione di me quale numero tra numeri.

L’evolversi di questa incredibile vicenda mi ha dato la sensazione di non essere piu’ un uomo degno di ascolto e di umana considerazione bensì un numero, anzi un fascicolo che poteva essere dimenticato con facilità, seppellito tra scaffali polverosi: le ultime udienze sono durate non piu’ di 15 minuti, in totale assenza di contraddittorio; la complessità della vicenda umana mia e dei miei figli è stata compressa in quel ridottissimo arco temporale e mortificata da un provvedimento scritto in poche righe.

Ad aggiungere tormenti a questo girone dantesco, il fatto che la cancelleria del Tribunale ha trasmesso gli atti del procedimento ai competenti uffici, con ben 4 mesi di ritardo(!) e su mio interessamento, ottemperando con incredibile ritardo all’ordine del Collegio Giudicante di richiedere un consulto psicologico all’ASP e di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica per la valutazione di eventuali profili di rilevanza penale!

E va sottolineato che è stato proprio questo ritardo ad inasprire fino al parossismo una situazione già estremamente precaria e dolorosa.

Non sono né un ubriacone né un pregiudicato né tanto meno un violento ma un uomo di quarantuno anni, segretario generale, da diciassette anni, della piu’ prestigiosa istituzione concertistica cittadina, consigliere comunale in carica ininterrottamente dal 1998, il cui impegno politico e la cui rettitudine morale sono note all’intera cittadinanza.

Sono discendente di una stimata famiglia che tanto ha dato alla nostra città e al Paese: mio nonno Giovanni, direttore d’orchestra, è stato il fondatore dell’Ente Lirico cittadino, suo fratello Alessandro è perito eroicamente nel primo conflitto bellico per servire la Patria, mio padre è stato apprezzato docente presso il Liceo Scientifico cittadino e da anni profonde le sue migliori energie, avvalendosi anche della mia modesta collaborazione, per garantire ogni anno ai trapanesi una stagione concertistica di livello internazionale.

Nella nostra casa ospitiamo, durante l’anno, musicisti e intellettuali provenienti da tutto il mondo; nella nostra casa, da sempre, si legge, si ascolta musica e si discute.

Questo è l’ambiente in cui ho fatto vivere i miei due figli ogni volta che mi sono stati affidati e questo patrimonio culturale e morale ho offerto alla loro formazione assieme ad un infinito amore e ad una presenza costante che i bambini contraccambiano con enfasi.

Tutti mi riconoscono le doti di un padre meraviglioso, ben diverso dal sinistro personaggio tratteggiato dagli scritti e dalle pretestuose denunce dell’avvocato dalla madre dei miei figli, che mi dipingono come un politico rampante e amorale, come un “sacerdote che recita vangelo delle sue bugie” o come una “presenza inquietante”.

L’unica reazione che ho deciso di avere a fronte di questa vicenda kafkiana è quella di digiunare sine die e di protestare pacificamente, non accettando di subire e di fare subire ai miei figli la mortificazione di essere “vigilati” dai servizi sociali!

La mia dignità personale e la mia riconosciuta qualità di ottimo padre non mi consentono, inoltre, di sopportare l’umiliazione di essere trattato, sotto gli occhi dei miei figli, alla stregua di un sospettato di pedofilia o di un violento.

Mi farei torturare, piuttosto che sottoporre i miei figli, da me abituati a frequentare ambienti sani e culturalmente stimolanti, all’umiliazione di uno “spazio protetto” presso i Servizi Sociali!

L’ultima beffa sta nel fatto che a nessuno è venuto in mente di verificare prima di emettere l’ordinanza in argomento se il martedì e il venerdì gli uffici comunali fossero chiusi, così come lo sono, di talché, all’atto, anche volendo non potrei vedere i miei figli con le modalità e nei tempi ordinati dal Tribunale!

Non risulta, inoltre, agli atti che per assumere una decisione di una tale severità sia stata consultata la psicologa dell’ASP che, peraltro, aveva già sentito sia me che mia figlia Clara!

Una storia di ordinaria ingiustizia o una pagina del teatro dell’assurdo? Certamente un episodio in cui vi è stata una grave violazione dei diritti umani e la mortificazione della nostra civiltà giuridica.

Come si è chiesto ed ha chiesto Tiberio Timperi qualche sera fa alla trasmissione Matrix, nel corso della quale è stata denunciata la perversa prassi di adottare provvedimenti che annullano, di fatto, il diritto di paternità, invalsa in tutti i Tribunali d’Italia: “Chi paga per tanto dolore provocato?”; Chi risarcirà mia figlia per non avere potuto festeggiare ieri il suo compleanno insieme al suo papà?.. Io non cerco rivalsa ma desidero che mi venga restituito il diritto di coltivare i grandi affetti della mia vita liberamente e serenamente.

Da uomo delle Istituzioni, credo nelle Istituzioni e continuo a credere nei Giudici che sono chiamati ad amministrare giustizia, certamente con penuria di mezzi e tra mille difficoltà ma sarò pienamente orgoglioso di essere cittadino di quel Paese civile che quest’anno festeggia il suo 150° compleanno, allorché vedrò nelle sue Istituzioni quell’umanità che consentirà loro di ammettere di avere sbagliato quando ciò accadrà e di riparare ad ogni errore commesso.

Spero che questo mio gesto possa almeno servire a scuotere la pubblica opinione e la coscienza di chi amministra Giustizia per conto dello Stato, nonché possa risvegliare l’attenzione di un Legislatore, tanto solerte quando si tratta di dare “colpi di spugna” in favore di pochi, quanto pigro allorché viene chiamato a porre fine ad una condizione grottesca che accomuna decine di migliaia di padri, dalla Sicilia al Trentino Alto Adige!

 

Giovanni De Santis



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