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31/03/2011 08:40:01

La rappresentazione del lesbismo a Trapani

È l’affermazione che ha fatto seguito allo studio condotto dalle ricercatrici Ignazia Bartholini e Giuseppina Scavuzzo dell’Istituto di Scienze Sociali dell’Università di Trapani. E hanno aggiunto: «L’omosessualità oggi non è più universalmente considerata una malattia, una perversione, un errore della natura. Eppure dichiararsi lesbica può essere, al presente, difficile. Il pregiudizio e alcune immagini negative legate al lesbismo sono sopravvissute e, fra gli adulti, continuano ancora a pesare. Per questo è più importante, da parte d’insegnanti e genitori, educare al rispetto della libera scelta dell’altro per ciò che concerne la sfera intima e personale».
La ricerca ha preso le mosse da un’intervista biografica ad Anna, una lesbica di mezza età che ha espresso tutto il suo disagio e la sofferenza del sentirsi “diversa”, ha tuttavia registrato un’inversione di rotta, uno sviluppo inatteso nella rappresentazione del lesbismo nelle giovani generazioni.
L’indagine, condotta su un campione di 200 allieve delle quinte classi dell’Istituto superiore “Rosina Salvo”, ha evidenziato che l’omosessualità al femminile nel territorio trapanese sembra essere “accettabile”, almeno per la generazione degli “anni ‘90”. Alla domanda: “Cambieresti i tuoi sentimenti se venissi a sapere che una tua amica é lesbica?” il 96 per cento del campione, accetterebbe, senza riserve, questa eventualità, mentre qualche imbarazzo l’avrebbero i maschi. Alla domanda: “Hai mai avuto paura di essere influenzata da una donna lesbica standovi a stretto contatto? solo 16 ragazze su 200 hanno risposto “si”. «È ipotizzabile – affermano le studiose - una qualche difficoltà legata alla relazione fra soggetti maschi e femmine in età scolare, forse perché l’identità maschile sembrerebbe essere posta a un confronto più serrato concernente la popria identità di genere nell’eventualità di confrontarsi con una donna che ha in comune con loro desideri e preferenze. Il problema è invece irrilevante nella formazione dell’identità eterosessuale delle giovani adolescenti donne che vedono nelle coetanee lesbiche le amiche e le compagne di scuola, indipendentemente dalla loro identità di genere».
La scuola ha un grosso compito. I primi segnali, infatti, delle tendenze sessuali si palesano, per la gran parte dei giovani, durante gli anni di frequenza nella scuola secondaria e si rendono evidenti nelle condotte agite nel gruppo dei pari. Ed è la scuola a stabilire i primi meccanismi di esclusione o di accetazione del “giovane gay” o della “giovane lesbica”, attraverso gli interventi dei propri insegnanti, cui è demandato il compito di formare gli allievi, educandoli al rispetto dell’altro, specie se “diverso”.
Il problema dell’accettazione del “diverso” non investe solo l’omosessualità al maschile ma anche quella femminile, soprattutto quando la stigmatizzazione è agita da donne etero nei confronti di donne lesbo. Molte donne etero, infatti, hanno manifestano nelle interviste una lesbofobia dichiarata; altre, una mascherata. «Lesbica e puttana - dicono le studiose - sono state spesso messe sullo stesso piano, entrambe hanno rappresentato, nella società meridionale, le due facce di una stessa maschera imbarazzante e spesso sgradevole all’opinione comune. Nel sentire collettivo di alcuni gruppi del Sud insofferenza o imbarazzo accompagnano ancora quelle donne che sfuggono al modello secolare di sposa e di madre. Appartiene, infatti, all’esperienza di quasi tutte le donne single di mezz’età l’esperienza del sospetto malcelato o, peggio, dello sberleffo occasionale o della calunnia, in risposta alla scelta di non sposarsi o di non frequentare sessualmente o di non accettare rapporti occasionali con uomini».
Per fortuna, come dimostra la nuova generazione, le cose vanno cambiando, ma ancora tanta è la strada da percorrere prima che si arrivi al rispetto della condizione di ogni individuo senza che la sua “diversità” sia considerata una colpa da cui nascondersi.


SALVATORE AGUECI