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17/03/2011 11:41:18

L'Unità d'Italia e i siciliani: un'indagine Demopolis

È uno dei dati più significativi che emerge dall’indagine, diretta da Pietro Vento e realizzata - nel 150° anniversario dell’Unità - dall’Istituto Nazionale di Ricerche Demopolis su un campione di cittadini rappresentativo della popolazione siciliana. 

Una ricorrenza in chiaroscuro, quella del 17 marzo: attesa tiepidamente, senza troppe emozioni nel Paese. I siciliani ritengono comunque giusto celebrare il 150° anniversario dell’unificazione nazionale, non solo per rivivere la ragioni più profonde del Risorgimento, ma anche e soprattutto - come afferma il 47% - per riflettere seriamente sulla coesione del Paese e sulle differenze di sviluppo tra Nord e Sud. 

 

L’Unità resta un valore condiviso: l’83% dei cittadini, intervistati dall’Istituto Demopolis, lo considera un fatto decisamente positivo per l’Italia. Differente l’opinione sugli effetti sociali ed economici del processo di unificazione sui diversi contesti regionali, con ampie criticità che attraversano il Paese da Nord a Sud. Colpisce il giudizio fortemente negativo espresso dai cittadini, il 45% dei quali pensa oggi che l’Unità d’Italia sia stata per la Sicilia decisamente penalizzante sotto il profilo economico. Sono in molti ad essere convinti  che l’Unità d’Italia sia stata un bene soprattutto per le regioni del Centro-Nord.

 

“Emerge chiara la consapevolezza – afferma il direttore dell’Istituto Demopolis Pietro Vento – di un divario di sviluppo che, a differenza di quanto è avvenuto in altri Paesi europei, non è mai stato colmato e si è addirittura progressivamente aggravato. A 150 anni dal 17 marzo 1861, appare diffusa tra i cittadini la convinzione di un’Italia decisamente poco unita sul piano sociale ed economico: troppi, per il 62%, restano gli squilibri tra le diverse aree del Paese". 

 

Dovendo scegliere, in termini di identità, l’appartenenza territoriale preferita, il 40% opta per l’Italia, meno di 1 su 8 sceglie l’Europa; il 48% la Sicilia o la propria città. Più catanesi, palermitani, siciliani che italiani, dunque. Anche dopo 150 anni.