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16/03/2011 15:13:24

Scrive il Coordinamento per la pace di Trapani, sui 150 anni dell'Unità d'Italia

Le parate militari, così come i discorsi accorati delle più alte cariche dello Stato, travisano la storia strumentalizzandola e asservendola alle logiche del potere che, alla perenne ricerca di legittimazione, abbaglia l’opinione pubblica fomentando il nazionalismo più becero.

Il Risorgimento è stato, innanzitutto, una lotta per la libertà. Non solo una lotta contro gli oppressori che dominavano la penisola, ma anche un’occasione – purtroppo mai pienamente realizzata – per creare una società più equa e più giusta, nel segno dell’uguaglianza, della libertà dal bisogno, della laicità.  
Non ci sono parole migliori di quelle di chi visse in prima persona quella stagione piena di speranza nel cambiamento, per raccontarci il sentimento profondo che l’animò: parole ancora oggi attuali, che ci ricordano con forza che costruire un futuro migliore è possibile, e nessuno può farlo al nostro posto.
Così scrisse Carlo Pisacane, uno dei protagonisti più importanti – ma spesso dimenticato – del Risorgimento italiano, nel suo testamento il 25 giugno del 1857 a Genova, poco prima di partire alla volta di Sapri, dove morì:

«...Ho la convinzione, che le strade ferrate, i telegrafi elettrici, le macchine, i miglioramenti dell’industria, tutto ciò infine che tende a sviluppare e facilitare il commercio, è destinato, secondo una legge fatale, a render povere le masse, finché non si operi la ripartizione dei profitti, per mezzo della concorrenza. Tutti siffatti mezzi aumentano i prodotti; ma essi li accumulano in poche mani, per cui tutto il vantato progresso non si riduce che alla decadenza. Se si considerano questi pretesi miglioramenti come un progresso, sarà ciò in questo senso che, coll’aumentare la miseria del popolo, essi lo spingeranno infallibilmente ad una terribile rivoluzione che, mutando l’ordine sociale, metterà a disposizione di tutti, ciò che ora serve all’utile solo d’alcuni. Ho la convinzione, che i rimedî temperati, come il regime costituzionale del Piemonte e le progressive riforme accordate alla Lombardia, lungi dall’accelerare il risorgimento d’Italia, non possono fare che ritardarlo. Quanto a me non m’imporrei il più piccolo sagrifizio per cambiare un Ministero o per ottenere una Costituzione, neppure per cacciare gli Austriaci dalla Lombardia e riunire al regno della Sardegna questa provincia: io credo che la dominazione della Casa d’Austria e quella di Casa Savoja sieno la stessa cosa...».
«...Le idee vengono dietro ai fatti e non viceversa; e il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma diverrà istrutto tostoché sarà libero. L’unica cosa che possa fare un cittadino, per essere utile alla sua patria, è l’aspettare, che sopraggiunga il tempo, in cui egli potrà cooperare a una rivoluzione materiale...».
«...V’hanno taluni che dicono, la rivoluzione debbe essere fatta dal paese. Questo è incontrastabile. Ma il paese si compone d’individui; e se tutti aspettassero tranquillamente il giorno della  rivoluzione senza prepararla col mezzo della cospirazione, giammai la rivoluzione scoppierebbe. Se invece ognuno dicesse; la rivoluzione deve effettuarsi dal paese, e siccome io sono una parte infinitesima del paese, spetta anche a me il compiere la mia infinitesima parte di dovere, e io la compio; la rivoluzione sarebbe immediatamente compiuta, e invincibile, poiché dessa sarebbe immensa. Si può dissentire intorno alla forma di una cospirazione circa il luogo e il momento in cui debba effettuarsi; ma il dissentire intorno al principio è un’assurdità, una ipocrisia; torna lo stesso che nascondere in bella maniera il più basso egoismo.
Io stimo colui che approva la cospirazione, e che non prende parte alla cospirazione; ma io non posso che nutrire disprezzo per coloro che non solo non vogliono far nulla, ma si compiacciono di biasimare e maledire coloro che operano...
».
                                            
 



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