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Sono tante le persone ho dovuto imparare a conoscere leggendo gli atti giudiziari riguardanti le loro morti violente. Purtroppo in questo “maledetto” elenco c’è anche Mauro Rostagno, ucciso a Lenzi di Valderice, provincia di Trapani il 26 settembre del 1988. Domani, 6 marzo, è il suo compleanno, avrebbe compiuto 65 anni. Non ci potranno essere né torte né festeggiamenti semmai lui li avesse mai voluti, la sua vita si è fermata a 46 anni. Di quante morti come per Mauro Rostagno ho dovuto leggere depistaggi, mascheramenti (noi siciliani li chiamiano maschiariamenti), persone oneste la cui coscienza civile è stata dopo la morte ancora sporcata, offesa, vilipesa, per nascondere la mano degli assassini mafiosi macchiata del sangue delle loro vittime; questo è successo tante volte a Trapani, per il magistrato Ciaccio Montalto, per il giudice Alberto Giacomelli, è successo per i morti del 2 aprile di Pizzolungo quando Trapani morbosamente curiosa apposta andò ad interessarsi della vita di quell’uomo, Nunzio Asta, rimasto di colpo senza moglie e senza i suoi due gemellini, i trapanesi non pensarono nemmeno un minuto di cercare di impersonare semmai, anche per un secondo, il dolore immenso che aveva investito Nunzio e Margherita, non provò neppure a interrogarsi sul grado di violenza che la mafia aveva raggiunto e come mai a questa escalation la mafia era riuscita ad arrivare.
Già, inutile farsi queste domande a Trapani, o stupirsi perché nessuno se le fece o pensò di farle allora, nel 1985, la mafia non esisteva, lo andava dicendo un sindaco, ma non era il solo a dirlo.
Non c’è stata morte violenta per mano mafiosa che non sia stata una morte sul campo. Tutte le vittime della mafia trapanese erano impegnate a far qualcosa: Ciaccio Montalto inseguiva la mafia di Trapani che si stava trasferendo in Toscana, Alberto Giacomelli si occupava dei beni confiscati, Barabara Rizzo si occupava della sua famiglia e Salvatore e Giuseppe di come studiare al meglio, il bersaglio di quell’attentato di Pizzolungo era il giudice Carlo Palermo, rimasto miracolosamente illeso; aveva ripreso le indagini lasciate aperte da Ciaccio Montalto e aveva scoperto un traffico di droga e armamenti utili a fabbricare bombe, che viaggiavano sulle stesse rotte con coperture eccezionali, ma aveva anche scoperto le casseforti della mafia locale e i legami tra i mafiosi trapanesi e i cavalieri del lavoro di Catania. Punto di unione era quel Francesco Pace che a Carlo Palermo non poteva ancora dire nulla, ma anni dopo, nel 2005, la Polizia e la magistratura scoprirono essere il capo della cupola mafiosa di Trapani, il più fedele alleato dei potenti mafiosi di Mazara quelli che all’epoca dell’attentato a Carlo Palermo davano ospitalità a Mazara al capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina. Carlo Palermo come Mauro Rostagno, avevano avuto il sentore di troppe cose in un sol colpo. Per Carlo Palermo risultarono conoscenze ingombranti anche per lo Stato che infine lo licenziò dalla magistratura.
Come non parlare poi di Giuseppe Montalto, anche lui fa parte di questo elenco, l’agente penitenziario ucciso dalla mafia l’antivigilia di Natale del 1995, ucciso per avere fatto il suo dovere, un eroe si è detto subito.
Ecco la parola eroe non compare mai da nessuna parte nelle carte giudiziarie che riguardano Mauro Rostagno. E’ giusto che sia così perché chi fa il suo dovere non è un eroe. E Mauro Rostagno non era un eroe, era un sociologo e un giornalista, appassionato alla vita e al suo lavoro, che faceva il suo dovere di informazione, informava e non trattava con nessuno le notizie. Lavorava con un obiettivo preciso: non era un obiettivo segreto, ce lo diceva e ce lo spiegava dagli schermi di Rtc ogni giorno, con parole diverse, ma il fine era se,mpre quello, ci diceva: “Non vale la pena di trovarsi un posto in questa società, ma bisogna creare una società nella quale valga la pena di trovarsi un posto". Eppure nonostante tutto questo lui non è stato un eroe. Ma anche gli altri uccisi facevano il loro dovere, e allora perché la differenza, perché loro eroi e Mauro no? Perché, secondo una regia occulta, Mauro Rostagno non doveva essere un eroe, non doveva essere visto a Trapani come un eroe, doveva essere dimenticato, doveva risultare che era stato ucciso magari per qualche schifezza, la droga, le corna, i tradimenti, le gelosie. Ecco perché sono serviti alla magistratura e agli investigatori 22 anni per arrivare oggi ad un processo, perché la sua morte celebrata con quei funerali affollati doveva sparire presto dalla memoria della gente, e nella memoria della gente doveva entrare altro sul conto di Rostagno, andava anche lui “mascariato”. Trapani ucciso Rostagno dovevai tornare alla normalità, che è quella che inseguiamo sempre noi trapanesi, che ci piace, lo dimostriamo con i nostri modi di dire, quando ci incontriamo e ci domandiano vicendevolmente “che si dice ? “ la risposta di tutti è sempre la stessa, “nun si rice nente”, “non si dice niente”, oppure, “come va?”, “tutto a posto”, o ancora “la migliore parola è quella che non si dice”. Perché avvertiamo l’”omertà” come un bisogno.
Silenzio allora. Silenzio sul fatto resta Trapani la città con i più alti tassi di disoccupazione ma che riceve tanti di quei finanziamenti che invece di produrre ricchezza producono altra povertà, una città dove molti sono costretti a lavorare in nero, dove le imprese pagano la quota associativa a Cosa nostra, dove non c’è il racket e il pizzo perché la mafia non deve arrecare disturbo ma conquistare consenso sociale, dove la delegittimazione arriva puntuale per chi non ci sta alle regole del sistema illegale che è così radicato da essere diventato regola di legalità, dove la politica compra i voti dalla mafia e ricambia i favori, dove i colletti bianchi e i borghesi da decenni siedono allo stesso tavolo con i mafiosi ed i massoni quando non lo sono loro stessi mafiosi e massoni. Perché questa è la mafia che Rostagno aveva scoperto esistere, non so se aveva pronto davvero quello scoop sul traffico di armi, ma rileggete i suoi editoriali e vi renderete conto come pezzo per pezzo lui stava mettendo insieme, come stava facendo Carlo Palermo appena tre anni prima, nel 1985, il mondo mafioso trapanese, quello che ha saputo sintetizzare passato e futuro, tradizione e modernità, violenza ancestrale e spietata capacità di accumulare capitali. E che è poi oggi la mafia di Matteo Messina Denaro: non a caso allora la decisione di uccidere Rostagno fu presa a Castelvetrano ordinata dal patriarca della mafia belicina, Francesco Messina Denaro. Trapani ha protetto questa mafia perché è la mafia che ha gestito, e gestisce, l’economia, gli appalti pubblici, ha dato, e dà, lavoro, ha sparato quando c’è stato da sparare ha votato bene quando c’è stato da votare bene. Ecco perché Mauro Rostagno è stato ucciso. E’ stato ucciso perché stava dando forma a tutto questo e contro tutto questo stava cercando di dare corpo e anima al “coro sociale”, chissà se ha mai pensato a rendere concreto il pensiero scritto nel 1930 dal filoso Josè Ortega y Gasset, “perchè non vi fosse un solo protagonista a muovere le masse sociali ma vi fosse una sola massa a muoversi”.
Ecco ai giovani di oggi, a quelli che hanno affollato l’Alahambra di Calatafimi per la terza edizione del premio giornalistico dedicato a Mauro Rostagno, ho voluto dire che loro oggi fanno parte di quella moltitudine che improvvisamente si è fatta visibile, ai tempi di Rostagno e anche anni dopo ai giovani toccava occupare il fondo dello scenario sociale, adesso la loro posizione è avanzata, di questo i giovani debbono prendere coscienza. Ecco vorrei che fosse questa consapevolezza a essere idealmente consegnata dai giovani a Rostagno come regalo di compleanno , facendo la promessa che non c’è bisogno più di eroi in questo terzo millennio perché tutti saremo abituati a fare il nostro dovere, senza se e senza ma, " non ci sono più protagonisti ma c' è soltanto un coro".
E’ anche la promessa che dobbiamo farci “noi” tutti messi insieme, anche “noi” adulti, e che possiamo farci a Trapani come altrove, in Italia e in Europa, grazie a quelle donne e a quegli uomini, a quei giovani e a quegli adulti, che abitano nel bellissimo mondo di “Libera”.