I tre gestivano un grosso commercio di hashish e marijuana a Villabate e Ficarazzi (Palermo), incassando una media di 4000 euro a settimana. In carcere pure un amico del ragazzo, anche lui minorenne, che faceva il pusher.
La misura cautelare ha riguardato poi altre 4 persone estranee al nucleo familiare, ma coinvolte nell'organizzazione criminale. Inoltre, a 4 sono stati dati gli arresti domiciliari e 4 l'obbligo firma.
I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Termini Imerese e del tribunale per i minorenni di Palermo. Gli arresti sono stati decisi al termine di una lunga attività investigativa condotta per due anni dai carabinieri del nucleo operativo della Compagnia di Misilmeri e della Stazione di Villabate. A dare l'input all'inchiesta un via vai sospetto di giovani in piazza Figurella, a Villabate: i militari hanno scoperto cercavano pusher da cui comprare la droga.
Dalle intercettazioni è stata scoperta la centrale dello smistamento: una famiglia di Villabate, in cui, ciascuno con un ruolo ben preciso, amministrava il traffico. A tenere le fila i genitori: un macellaio 45enne e una casalinga 44enne, sposati da 20 anni e con quattro figli. Il figlio di 17 anni e un amico partecipavano direttamente alla gestione degli affari illeciti della coppia che teneva la cassa.
Lo stupefacente veniva venduto al dettaglio dai giovanissimi pusher ad assuntori abituali, molti dei quali loro coetanei, della zona compresa tra Misilmeri,Villabate e Ficarazzi.
Il quantitativo di droga spacciato quotidianamente era di circa 100 grammi al giorno. Il rifornimento dello stupefacente, il trasporto e la distribuzione erano al centro delle conversazioni telefoniche tra genitori, figli e amici intercettate dai carabinieri. La banda usava termini come "biscotti", le "stigghiole", termine siciliano che indica le interiora, lo "spezzatino" o il "pesce" per indicare panetti di hashish, venduti a un prezzo compreso tra i 30 e i 60 euro. Le "caramelle di menta", invece, indicavano le singole dosi, vendute ad un prezzo di 5-7 euro.
Dalle indagini è emerso che per evitare che gli acquirenti potessero rivolgersi ad altre piazze di spaccio, i due genitori inducevano i figli e i loro coetanei a testare personalmente l'hashish per verificarne la qualità. In un'intercettazione, la donna chiedeva ad un amico dei figli se la 'pasta' e la 'carne' erano stati di suo gradimento, ricevendo ampie rassicurazioni.
L'organizzazione, inoltre, si distingueva per la fitta rete d'informatori che, anche attraverso telefonate e sms, segnalavano la presenza dei militari nella zona, sollecitando maggiore cautela nello spaccio.
Per i coniugi l'accusa è aggravata dall'aver determinato il figlio minorenne a commettere il reato.