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30/01/2011 01:00:00

Scrive Don Francesco Fiorino, sulla condanna a Cuffaro e il vero volto dei siciliani

e chi invece si serve del potere esercitato in nome del popolo per realizzare affari, creando una schiera di sudditi e un sistema clientelare e dilapidatore. Molti uomini e donne della Sicilia - ne conosciamo personalmente tanti - hanno atteso una parola chiara e un giudizio sereno da parte della magistratura su una persona che spesso e volentieri affermava di essere cattolico e formulava - di suo pugno e come governatore dell’Isola - ferventi suppliche alla Vergine Maria. Si chiaro: a nessuno piace vedere un padre di famiglia andare in galera. Ma la giustizia umana deve essere applicata con rispetto della dignità di ogni persona e senza alcun canale preferenziale per nessuno. Chi commette un reato così grave e così infamante, come provato dalla sentenza definitva emessa a conclusione di un regolare processo, deve scontare la pena e deve seriamente riflettere sui danni materiali e morali che ha arrecato, sfigurando ancora una volta il volto di una Sicilia ferita e inquinata dalla mafia e dai suoi accoliti. Alcuni suoi ex amici di partito - purtroppo tuttora dirigenti politici - si sono subito incaricati di precisare che “resta in noi la convinzione che Cuffaro non sia mafioso”. Affermano nella loro nota di avere “rispetto per la sentenza, come è doveroso in uno Stato di diritto”, ma in realtà - contraddicendosi ostentatamente - si sostituiscono ai giudici di ben tre gradi di giudizio, sentenziando una assoluzione piena per il loro amico di partito. Certamente tutti coloro che in questi anni - qualche giornalista illuminato l’ha definita “l’epopea di Totò” - sono stati “beneficati” e introdotti a braccia aperte tra gli stipendiati o “favoriti” della Regione siciliana, non condivideranno queste nostre libere riflessioni. Ma i giovani sani della nostra terra - e sono la stragrande maggioranza - coloro che cercano un lavoro regolare (senza alcun “ricatto” del datore di lavoro) e adeguatamente retribuito, le persone che in ambito pubblico e privato cercano di adempiere fedelmente ai loro doveri istituzionali e professionali (si pensi ai tanti uomini delle forze dell’ordine) sono pronti a manifestare il desiderio di un riscatto vero e continuo da tutte le forme di inquinamento e di corruzione mafiosa. Non può un rappresentante del popolo, un amministratore della cosa pubblica - che si vanta altresì di essere cristiano - avere “amicizie” o “legami stretti” con personaggi che utilizzano l’intimidazione, lo sfruttamento delle persone, ogni forma di feroce aggressione violenta e arrogante. Non possiamo accettare di “comprometterci” con chi, violando le giuste leggi della serena convivenza democratica, favorendo modelli socio-culturali di utilizzo illecito e individualistico delle risorse e delle strutture pubbliche, si fa beffa della fiducia di tante famiglie e di tanti elettori, con le false promesse di una “sistemazione” in qualche ente pubblico, in un laboratorio medico o in un centro di formazione professionale. Come siciliani e cattolici, come cittadini della Repubblica italiana, cerchiamo di avere costantemente davanti a noi gli esempi di una vita bella e pulita, di impegno autentico per il bene, di uomini come p. Giacomo Cusmano, Pina Suriano, Giorgio La Pira, Piersanti Mattarella, Rosario Livatino, d. Pino Puglisi, Paolo Borsellino, card. Salvatore Pappalardo, mons. Cataldo Naro. L’elenco potrebbe continuare. A noi scegliere chi vogliamo imitare, rimanendo liberi e pieni di sano orgoglio.

Don Francesco Fiorino



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