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06/01/2011 18:18:59

Bisogna fare qualcosa

Solo in seguito hanno appreso la storia di queste persone, ciò che li aveva cacciati da casa, i sogni che li animavano, gli ostacoli che sbarravano la loro strada. Ma sono lì anzitutto perché, vedendo questi uomini, qualcosa si è risvegliato nel loro cuore: un rifiuto, una vergogna, una rivolta, una pietà, una simpatia! Delle persone vivono in quel modo a pochi metri da casa mia: è inaccettabile! Questi ragazzi potrebbero essere miei figli! Come possono cantare nella loro infelicità? E questi che pregano il loro Dio, inginocchiati nel fango! La barriera della lingua non impedisce l'annodarsi di amicizie. Dei nomi escono dall'anonimato. Un grazie giunge dall'Inghilterra! Questi cristiani non obbediscono ad alcuna consegna politica. Sanno che quello che fanno è in sintonia con il vangelo. Non rappresentano la Chiesa. Sono Chiesa. Criticati dal loro ambiente, rincuorati da qualche prete, credono con tutta la loro fede che Cristo lì li attende. Certamente è possibile porsi degli interrogativi. A che servono questi sforzi? Questi uomini e queste donne sono consapevoli dei limiti del loro impegno. La situazione di quei migranti rimane malgrado tutto drammatica, scandalosa, vergognosa. Questi volontari soffrono di sentirsi ai limiti della legalità. Quando i servizi ufficiali distruggono alla sera i teloni e le coperture trovate con difficoltà al mattino, quando si rimettono in libertà per la notte quelli che erano stati arrestati all'alba, quando il flusso di coloro che passano non si arresta mai... come evitare un sentimento di assurdità? Supplizio di Tantalo, botte delle Danaidi, in che cosa tutto questo deve sfociare?
Non hanno di certo in mano la soluzione del problema. E' allo Stato, agli Stati, ai Potenti che spetta cambiare il mondo e medicare le piaghe. I volontari costituiscono un alibi per i politici? Stanno nascondendo ciò che non si vuol far vedere? Forse, ma questi migranti sono lì. Sono uomini come voi e come me. Le buone ragioni per rinunciare attraversano talvolta il cuore come una tentazione. Questi volti, queste presenze, questi nomi prevalgono sempre. I cerchi del silenzio (1) dicono a loro modo l'essenziale: non pretendiamo di avere la soluzione ma ci rifiutiamo di distogliere gli occhi dal problema. Nel presente tempo natalizio questa testardaggine trova un senso in un Dio che non viene a trovarci con delle dottrine, con degli eserciti, con del denaro, con delle parole. La presenza di un bambino basta. Il Messia non viene dal Tempio né dal mondo della virtù. Non viene dal cielo scrutato dai magi di Oriente. Non è sulla strada degli imperi che vogliono civilizzare il mondo. E' un bambino di migrante affidato all'amore di genitori poveri e sprovvisti di denaro, trascinati sulle strade dai capricci della storia. E' lì nella sua fragilità. Durante tutta la sua vita, dalla mangiatoia al Golgotha, salva il mondo. Non è il Maestro di giustizia che separa i buoni dai malvagi. Rende i malvagi un po' migliori. La sua debolezza fa scaturire nel cuore degli uomini qualcosa: un rifiuto, una vergogna, una rivolta, una pietà, una simpatia! E' in questo incontro che nasce un uomo nuovo. E' lì che un mondo nuovo si inaugura. Più tardi sarà a sua volta sensibile a ogni fragilità. La Croce porrà sulla sua missione una terribile questione: perché tanto amore per finire come un criminale. Ma dall'alto della Croce, Gesù continua anche nella sua fragilità a salvare il mondo. E' di fronte alla fragilità di un fratello che sempre troviamo le strade dell'umanità. E' di fronte alla fragilità di Dio che noi troviamo il Dio che ci plasma a sua immagine. Il brivido di bontà che attraversa il nostro mondo in questa festa di Natale, malgrado tutto ciò che la sfigura, testimonia che l'Uomo non è morto.

(1) Promossi dai frati francescani di Tolosa nel 2007, i “cerchi del silenzio” si moltiplicano dovunque in Francia. Ne sono stati recensiti un centinaio composti da cittadini di ogni orientamento (cristiani, atei, militanti di associazioni...). Si raccolgono in cerchio e in silenzio per denunciare la condizione dei migranti clandestini.

*Jacques Noyer è vescovo emerito di Amiens

 

Jacques Noyer* - in “Témoignage Chrétien” n 3424-3425 del 23 dicembre 2010 (traduzione: www.finesettima.org)