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13/10/2010 12:00:51

Mafia, beni sequestrati a Dimino. In contatto con Messina Denaro


Tra i beni oggetto del sequestro figurano 3 appartamenti (uno di 10 vani), ubicati in zona centrale a Sciacca (Agrigento), numerosi conti correnti bancari, libretti di deposito e titoli azionari, per un valore complessivo di oltre 60.000 Euro.
Il decreto è stato emesso dal Tribunale di Agrigento, su proposta avanzata dalla Procura della Repubblica di Palermo - Dipartimento di Criminalità Economica -  sulla base di complesse indagini bancarie-patrimoniali esperite dalla D.I.A., diretta dal Generale dei Carabinieri Antonio Girone.
Il Tribunale, condividendo le investigazioni svolte dal Centro Operativo D.I.A. di  Palermo, ha motivato il sequestro rilevando la mafiosità del soggetto proposto - accertata in molteplici atti processuali - e la sperequazione tra il valore dei beni posseduti e dei redditi dichiarati e l’attività svolta.dia.jpg
Dimino, negli anni, è stato ritenuto personaggio di spessore nel sodalizio mafioso del comprensorio saccense, stabilmente inserito all’interno dell’organizzazione criminale cosa nostra.
Già nel 1996, era stato condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione illecita di armi e danneggiamento seguito da incendio dal Tribunale di Sciacca , nell’ambito del processo "AVANA",  ad una pena che la Corte di Appello di Palermo fissò in definitivi 10 anni e 6 mesi di reclusione.
Nell’ambito del suddetto procedimento penale era stato accertato che Dimino, fino all'ottobre 1993 (data del suo arresto in esecuzione di altra ordinanza di custodia cautelare) era stato uno dei personaggi di maggior rilievo della consorteria mafiosa di Sciacca, molto vicino a Salvatore Di Ganci, all’epoca, personaggio di vertice di cosa nostra agrigentina ed attualmente detenuto.
Dimino Accursio, detto anche "Matiseddu", fino al 1993 svolgeva, insieme ai fratelli, un commercio di prodotti ittici e l'attività di docente di educazione fisica in diversi istituti scolastici statali.
Tra le attività illecite poste in essere dal predetto, nell'ambito del suo ruolo di associato alla famiglia mafiosa di Sciacca, è stato acclarato che vi era anche quello di "reclutamento di nuovi adepti", di individuazione, cioè, di soggetti da inserire in seno all'organizzazione criminale (Sentenza "AVANA").
Scarcerato il 12 aprile 2004 e ritornato in Sciacca, Dimino si era immediatamente attivato per ricostituire il sodalizio mafioso operante nella medesima cittadina.
Il 4 luglio 2008, è stato arrestato, unitamente ad altri soggetti, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare richiesta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, nell’ambito dell’operazione “SCACCO MATTO”, in quanto ritenuto responsabile di associazione a delinquere di stampo mafioso, finalizzata ad acquisire la diretta gestione di attività economiche ed appalti di opere pubbliche nel settore edile e turistico-alberghiero, il controllo della fornitura di calcestruzzo, automezzi e manodopera specializzata. L’attività d’indagine aveva scompaginato le famiglie mafiose agrigentine di Sciacca, Menfi, Santa Margherita Belice, Montevago, Sambuca di Sicilia, Burgio, Lucca Sicula, Villafranca Sicula e del mandamento di Ribera.
Al Dimino era stato contestato di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Sciacca,  con il ruolo di capo, svolgendo le attività di controllo illecito delle attività economiche mediante danneggiamenti a scopo intimidatorio ed estorsivo; in particolare, era stato accusato, anche, di essere l’ideatore e mandante dell’incendio dell'autovettura di un imprenditore per costringerlo alle volontà della cosca.
Nell’indagine erano emersi contatti (tramite “pizzini”) tra lo stesso Dimino e il latitante mafioso Matteo Messina Denaro, ritenuto l’attuale capo della Provincia di Trapani, in ordine agli equilibri che intercorrevano tra il sodalizio mafioso di Sciacca e le altre "famiglie" di quel comprensorio.
Per tale procedimento, il 18 febbraio 2010 è stato condannato dal G.U.P. di Palermo, per associazione a delinquere di stampo mafioso, ad 11 anni e 8 mesi di reclusione.
La Procura della Repubblica di Palermo ed il Tribunale di Agrigento hanno rilevato che gli investimenti e gli acquisti operati dal Dimino non hanno trovato alcuna giustificazione nelle sue modeste disponibilità finanziarie, ritenendole, per la loro natura, frutto o reimpiego di attività illecite.