si sono trasformate in un'acuta crisi recessiva, che, alla fine dell'estate 2008, ha assunto proporzioni storiche, incidendo in modo significativo su tutto il 2009.
E' l'analisi dei dati che emerge dal "XXXIV Report Sicilia", realizzato dal Diste, Dipartimento studi territoriali, in collaborazione con la Fondazione Curella e il Centro interdipartimentale per la ricerca ed il monitoraggio dell'economia e del territorio dell'Università degli Studi di Palermo, presentato questa mattina, nella sede di Confindustria Palermo, dal presidente Alessandro Albanese, dal presidente del Diste Alessandro La Monica, che ne hanno discusso assieme al presidente della Fondazione Curella, professore Pietro Busetta, al preside della facoltà di Economia Fabio Mazzola e al professore Antonio La Spina dell'Università di Palermo. Per le imprese dell'isola si è inaugurato un prolungato periodo di perdite produttive. Molte di esse sono fallite, altre hanno sfiorato la bancarotta.
Mentre i siciliani hanno dovuto tagliare in modo consistente le spese anche per l'acquisto di vestiti, scarpe, alimentari e bevande. Si contano numerose chiusure fra le piccole imprese operanti nella distribuzione, nell'artigianato, nell'industria manifatturiera, nelle costruzioni. Va male anche la produzione industriale: il numero degli occupati è sceso per il quarto anno consecutivo, collocandosi al livello più basso degli ultimi dodici anni.
Le indagini campionarie Istat condotte presso le famiglie siciliane hanno accertato, con riferimento alla media del 2009, un numero di lavoratori pari a 129,6 mila unità, il 6% in meno rispetto al 2008. Sono cresciuti anche i dati relativi ai fallimenti (nel 2009 in Italia oltre 9 mila, +23% rispetto al 2008; in Sicilia l'aumento si è aggirato attorno al 12 per cento, con undici imprese fallite ogni diecimila registrate) e ai protesti.
Ma i dati messi a punto dal Diste evidenziano anche che qualche segnale positivo c'é: infatti, grazie ad un cauto miglioramento del clima di fiducia degli operatori, la fase più acuta della recessione potrebbe essersi arrestata, o quanto meno mitigata, anche se il processo di normalizzazione sembra destinato a protrarsi nel tempo. Dopo che nel 2009 l'export ha registrato un -37% rispetto al 2008, e l'import (-38,6% rispetto al 2008), dai dati del primo trimestre 2010, si registra un miglioramento. I flussi commerciali dell'Isola con il resto del mondo, infatti, hanno mostrato un consistente rilancio, chiudendo il periodo all'insegna di aumenti in termini monetari del 45,4 per cento le esportazioni e del 67,9 per cento le importazioni.
I consumi delle famiglie siciliane, come è emerso dall'indagine Diste/Fondazione Curella, effettuati con alcuni operatori del credito siciliani, diminuiscono in maniera significativa. I risultati delle inchieste condotte nell'autunno 2009 e a inizio primavera 2010 hanno segnalato flessioni di entità apprezzabile estesi alla maggior parte dei capitoli di spesa, a iniziare dal vestiario e abbigliamento, dai prodotti in pelle e calzature, agli alimentari e bevande, dai servizi di ristorazione e alberghieri a quelli per la cura della persona. Dovrebbero essersi salvati dalla tendenza fortemente riduttiva gli acquisti di beni e servizi per le comunicazioni e quelli per la mobilità.
L'ingente ricorso alla cassa integrazione, la ristrutturazione degli impianti della Fiat, con la decisione di cessare l'attività di produzione a Termini Imerese, la progressiva delocalizzazione degli impianti produttivi in altri paesi sono elementi che ancora adesso non permettono di capire quanto sono stati gravi gli effetti della crisi sul mercato del lavoro e che ripercussioni ci saranno in futuro.
All'interno di questo panorama esistono però degli elementi che, sembrerebbero mostrare come la Sicilia stia assorbendo meglio gli effetti della crisi rispetto al Mezzogiorno. Emerge anche questa analisi dal report Diste. Alcuni indicatori riferiti al 2009 mostrano infatti delle flessioni inferiori a quelle registrate dalle regioni del Sud, e in alcuni casi i valori sono addirittura in linea con la media italiana. Secondo l'indagine campionaria dell'Istat, condotta presso le famiglie residenti gli occupati contabilizzati in media d'anno erano circa 1 milione 464 mila, 16.000 in meno dell'anno precedente, pari ad un tasso negativo dell'1,1% che si contrapponeva al -1,6% del dato Italia.
I settori più duramente colpiti sono soprattutto quelli che producono beni (agricoltura, industria in senso stretto, costruzioni), e tra le attività dei servizi il settore commerciale, mentre i restanti comparti del cosiddetto terziario hanno funzionato da ammortizzatore, registrando aumenti apprezzabili se comparati con il forte calo della produzione. Il tasso di disoccupazione si è posto a quota 13,9%, a fronte del 7,8% riguardante l'Italia nel suo insieme.
Va segnalato ancora una volta, vedi i Report Sicilia precedenti, una criticità che caratterizza da tempo il mercato del lavoro isolano dove una massa consistente di persone ha perso la speranza di trovare un'occupazione, e quindi ha rinunciato a cercare attivamente un lavoro, con ciò non rientrando più nella definizione statistica di disoccupati.
Si tratta di ben 304 mila unità, che rappresentano quasi un quarto (esattamente il 22,3%) dell'intera componente nazionale, quando invece la quota dell'occupazione siciliana sul totale dell'Italia è appena pari al 6,4%, e la quota della disoccupazione raggiunge il 12,1 per cento. Computando questa massa di scoraggiati tra le persone attivamente in cerca di lavoro, ne discenderebbe un tasso di disoccupazione virtuale quasi doppio rispetto a quello ufficiale (26,9% a fronte del 12,6% a livello nazionale).