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01/07/2010 09:05:39

Pisanu: "Ci fu una trattativa tra Stato e Cosa Nostra". Grasso: "Non ci sono le prove"

infiltrazioni mafiose. Nella sua analisi sui grandi delitti e stragi di mafia del 1992-93, Pisanu afferma che alle spalle di quegli omicidi si mosse "un groviglio tra mafia, politica, grandi affari, gruppi eversivi e pezzi deviati dello Stato". In quegli anni tra governo italiano e Cosa nostra "qualcosa sul genere" di una trattativa "ci fu e Cosa nostra la accompagnò con inaudite ostentazioni di forza" sostiene Pisanu, che nel dossier ripercorre quel periodo, ricordando gli attentati, i morti e le manovre organizzate dalla mafia per destabilizzare lo Stato.

"Le teorie sono belle ma, nei processi, abbiamo bisogno delle prove giudiziarie" commenta il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso. "Le prove costruite su tante fonti non hanno mai consentito di costruire la prova penale individualizzante in grado di accertare responsabilità" aggiunge. "Ho già chiarito - replica Pisanu - fin dalle prime battute della mia relazione, che di fronte a vicende drammatiche e complesse come quelle dei grandi delitti e delle stragi di mafia del 1992-'93, ci sono tre verità diverse, difficili da contemperare: quella giudiziaria, quella politica e quella storica. Come è facile capire, la mia relazione è soltanto politica e non ha la benché minima pretesa di stabilire verità giudiziarie".


"La spaventosa sequenza del '92 e del '93 - dice il senatore del Pdl nella sua relazione - ubbidì a una strategia di stampo mafioso e terroristico, ma produsse effetti divergenti". Da un lato ci fu il senso di "smarrimento politico-istituzionale che fece temere al presidente del Consiglio di allora l'imminenza di un colpo di Stato". Dall'altro determinò "un tale innalzamento delle misure repressive che indusse Cosa nostra a rivedere le proprie scelte e prendere la strada dell'inabissamento". Ma Pisanu avverte: "Nello spazio di questa divergenza si aggroviglia quell'intreccio tra mafia, politica, grandi affari, gruppi eversivi e pezzi deviati dello Stato che più volte abbiamo visto riemergere dalle viscere del paese". Pisanu indica l'orizzonte del dibattito in commissione sulle stragi del '92-' 93: "Indagheremo le relazioni tra mafia e politica ma con un'avvertenza per me decisiva" perché "di fronte a eventi terribili si giustappongono senza mai fondersi tre verità, quella giudiziaria, quella politica e quella storica, che si basano su metodi di ricerca e su fonti diverse con la conseguenza di dare luogo a risultati parziali e insoddisfacenti" cosa che è "nella maggioranza dei casi inevitabile".

Pisanu ricorda che da quegli anni a oggi "bloccato il suo braccio militare, Cosa nostra ha certamente curato le sue relazioni, i suoi affari, il suo potere. Ma da allora a oggi ha perduto quasi tutti i suoi maggiori esponenti, mentre in Sicilia è cresciuta grandemente un'opposizione sociale alla mafia che ha i suoi eroi e i suoi obiettivi civili e procede decisamente accanto alla magistratura e alle forze dell'ordine''. Anche per questo, Cosa nostra "ha forse rinunciato all'idea di confrontarsi da pari a pari con lo Stato - spiega il presidente della commissione antimafia - ma non ha certo rinunciato alla politica. Al contrario, con l'espandersi del suo potere economico, ha sentito sempre più il bisogno di proteggere i suoi affari e i suoi uomini, specialmente con gli strumenti della politica comunale, regionale, nazionale ed europea".

"E' ragionevole ipotizzare - prosegue Pisanu esponendo la sua analisi - che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica. Questa attitudine a entrare in combinazioni diverse è nella storia della mafia e, soprattutto è nella natura stessa della borghesia mafiosa".

Pisanu ricostruisce dettagliatamente i vari passaggi degli "omicidi eccellenti" e delle stragi a partire da quella mancata dell'Addaura, citando che ormai vi sono notizie "abbastanza chiare" su due trattative: quella tra Mori e Ciancimino "che forse fu la deviazione di un'audace attività investigativa" e quella tra Bellini-Gioè-Brusca-Riina, dalla quale nacque l'idea di aggredire il patrimonio artistico dello Stato. Pisanu ha osservato che l'elemento probabilmente sottostante al confronto mafia-Stato era quello di costringere all'abolizione del 41 bis e a "ridimensionare tutte le attività di prevenzione e repressione". E a riscontro Pisanu cita una "singolare corrispondenza di date che si verifica, a partire dal maggio del 93, tra le stragi sul territorio continentale e la scadenza di tre blocchi di 41 bis emessi nell'anno precedente".