Giovedì prossimo, nell'aula della seconda sezione penale del tribunale del capoluogo siciliano, infatti, i legali di Dell'Utri ripercorreranno i punti cardine su cui si è basato il loro impianto difensivo. Una linea che è sempre stata tesa a smontare l'accusa dei presunti incontri, avvenuti tra gli anni '70 e i primi anni '90, tra il senatore e alcuni boss storici di Cosa nostra interessati ai grandi affari edilizi in Lombardia, come la realizzazione del quartiere Milano 2, o all'ingresso indiretto nell'allora nascente partito politico di Silvio Berlusconi, Forza Italia. Dopo aver dato spazio alle eventuali controrepliche da parte della pubblica accusa, la corte, presieduta dal giudice Claudio Dall'Acqua, si ritirerà in camera di consiglio. Su Dell'Utri, condannato in primo grado a nove anni, pende la richiesta di 11 anni di reclusione avanzata dal pg Nino Gatto.
La sentenza d'appello chiuderà di fatto un processo protrattosi fino ad oggi a causa dei numerosi colpi di scena che lo hanno interessato. Su tutti l'interruzione della requisitoria del procuratore generale, lo scorso 30 ottobre, per consentire l'audizione in aula del pentito Gaspare Spatuzza, e dei due fratelli Graviano, ex boss di Brancaccio. Intanto, a turbare il clima dei giorni precedenti la chiusura del processo, ci ha pensato il giornale "Il Fatto", che ha sollevato una quaestio riguardo la parzialità dei giudici che, un paio di mesi fa, hanno respinto la richiesta avanzata dall'accusa, di ascoltare in qualità di teste Massimo Ciancimino. La corte in quell'occasione, ha definito "poco attendibili" le dichiarazioni rese fino a quel momento dal figlio dell'ex sindaco di Palermo ai magistrati nisseni che indagano sulla presunta trattativa fra Stato e mafia.