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12/05/2010 09:07:09

Confindustria: Lo Bello, "troppi imprenditori fanno proprio il sistema mafioso"

Fino alla nomina come direttore del restauro degli Uffizi di Riccardo Micciché il cui fratello risulta responsabile di un’impresa legata a boss mafiosi. Sembra che il sistema mafioso si espanda senza sosta. Una pervasività di cui Lo Bello conosce bene i pericoli. Per questo ha ideato e messo in pratica dal 2007 un codice etico che impone agli imprenditori siciliani di denunciare il racket. «Il nostro obiettivo - dice all’Unità - non è più solo la lotta alle estorsioni ma al metodo mafioso che alcuni imprenditori fanno proprio. Il sistema mafioso concede privilegi e produce rendite parassitarie. Ciò avviene anche perché la nostra società è debole. Oggi la frontiera del riciclaggio si è spostata al centro e al nord del Paese. È più pericoloso il mafioso che spara o l’imprenditore che, con la complicità della mafia, arriva al successo?»liberacalabria.jpg

Le mafie come ammortizzatore sociale?
«Il welfare italiano fotografa una realtà che non c’è più. Al sud sono sempre di meno i garantiti. Questa assenza di diritti, di libertà di decidere il proprio futuro, ha spinto nelle braccia della mafia migliaia di persone creando un sistema di potere che va abbattuto. Una lotta che non può essere demandata solo alla magistratura. È l’intera comunità meridionale che deve assumere un protagonismo forte su questo tema per il quale c’è bisogno di una responsabilità collettiva».

Termini inusuali per un imprenditore.
«Ha ragione il giudice Scarpinato: la mafia è una storia di classi dirigenti, è la storia di un potere criminale che ha servito una certa borghesia. Un pezzo di borghesia siciliana si è servita della mafia, ha gestito negli anni il controllo della spesa pubblica e l’urbanizzazione scriteriata delle città. Essere imprenditori in Sicilia è diverso che altrove: qui, per badare agli interessi propri, devi tutelare anzitutto l’interesse collettivo. È per questo che pur essendo un riformista penso che ci sia bisogno di radicalità».

Si spieghi meglio.
«In Sicilia è necessario essere radicali, è il contesto che lo impone. Come fai a riformare un sistema che in alcune sue parti vive di connivenza, di mercati protetti, di diritti che non esistono, di solidarietà sociali inesistenti? Questo è il tempo e il luogo della radicalità».

Qual è il bilancio dopo l’applicazione del codice etico varato nel 2007?
«Il bilancio è positivo. Sono stati sospesi molti imprenditori sospettati di collusione con la mafia che si erano rifiutati di denunciare il racket. Alcuni sono stati espulsi. Molti hanno denunciato, questo è il vero successo della nostra iniziativa».

Uno dei temi caldi è quello della corruzione. È cronaca di oggi che il decreto anticorruzione non riesce ad essere approvato.
«Al Sud e in Sicilia il problema è l’assenza del mercato, l’assenza di regole. Questo ha prodotto la tolleranza e l’indifferenza - che oggi sta venendo meno - verso forme di collusione e corruzione. Senza regole i cittadini sono sudditi e la politica esercita un potere totalizzante e assoluto. Il vero pericolo non è solo la criminalità spicciola ma i crimini dei colletti bianchi, dietro ai quali c’è la distruzione del mercato, della ricchezza intellettuale e materiale di questo paese».

Il suo è un programma politico, in molti le hanno offerto una candidatura.
«Per fare politica non c’è bisogno di candidarsi. La politica viene vista al Sud come l’unico luogo possibile dell’impegno pubblico. La vera innovazione è un impegno pubblico nella società meridionale».

Il suo giudizio sulla finanziaria del Presidente Lombardo, votata dal Pd, non è stato per nulla positivo. Perché?
«I numeri dell’economia siciliana rivelano un disastro. Ci troviamo davanti ad una macchina amministrativa enorme, inefficiente, costruita per riprodurre nel tempo un sistema assistenziale e clientelare. Tutto questo ha creato la crescita più bassa e la disoccupazione più alta dell’intero Paese. C’è una nuova e inedita plebe priva di identità politica, inconsapevole dei propri diritti di cittadinanza, subordinata alla parte peggiore della politica meridionale. Questo è il vero voto di scambio».

Non si è mai sentito solo quando denuncia le commistioni tra poteri legali e criminali?
«Questa non è più la Sicilia degli anni 80, quando Giovanni Falcone e i suoi colleghi erano criminalizzati perché osavano indagare non solo la mafia militare ma le sue alleanze con i colletti bianchi. Oggi vedo la nascita di un protagonismo di massa, che pur ancora minoritario attraversa tutte le classi sociali. È per questo che non mi sento solo».