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08/05/2010 09:00:00

Il titolo di “eccellenza”? E’ stato abolito da Garibaldi

Provate ad entrare in una prefettura di periferia e vi sentirete catapultati indietro di almeno un secolo. Resterete di stucco nel sentire che, dopo il prefetto, anche il vice prefetto vicario viene apostrofato con il pomposo termine di “eccellenza”. Stesso discorso vale per i vertici dei tribunali e delle corti d’appello della Repubblica, della cassazione, dei ministeri e persino delle curie vescovili, luoghi, dove, ancora oggi, un caffè o un eccellenza, non si negano a nessuno.

Intendiamoci: l’uso di tale appellativo, quando non è finalizzato a “sfottere” qualcuno, evoca comunque una condizione per cui una persona sovrasta altre, quasi a mortificare le non poche conquiste sociali che si fondano sui principii di uguaglianza e giustizia. E’, insomma, un abuso bello e buono, simile a quello che commettono quanti si vantano di possedere titoli nobiliari che, malgrado non siano stati riconosciuti dalla XIV disposizione finale della Costituzione italiana, continuano a sopravvivere nella prassi come se il referendum del 2 giugno 1946 (che ha abolito la monarchia) non avesse avuto luogo.

Il titolo di “eccellenza”, tanto per essere precisi, è stato “riabolito” (più avanti capirete il perchè) con il decreto legislativo n. 406 del 28 giugno 1945 (il ministro proponente, Pietro Nenni, ironia della sorte, si vide consegnata dagli uffici la bozza non ancora approvata di detto decreto dentro una carpetta con su evidenziato “alla firma di S.E. il ministro”). Dunque non può essere usato negli atti formali indirizzati alle autorità italiane nè dovrebbe essere adoperato, scherzi esclusi, nell’ambito dei rapporti personali verbali. Qualcuno obietta, però, che il decreto in questione non è stato mai convertito in legge. La norma, sarebbe tutt’ora valida malgrado una circolare contraria della Presidenza del Consiglio (risalente agli anni ’50 del secolo scorso) che raccomandava di non menzionare il titolo negli atti ufficiali dello Stato. Come tutte le circolari, anche questa è stata sostanzialmente disattesa e la parola “eccellenza” continua a rimbombare, più o meno sonoramente, nei palazzi del potere. Si dirà che queste sono le solite “pastette” all’italiana che complicano ogni cosa determinando un clima di incertezza. Non è così. Quelli che si ostinano a ritenere legittimo l’uso del pomposo sostantivo, dovrebbero rassegnarsi e prendere atto che da 150 anni il medesimo non esiste più. E’ stato letteralmente ed anche giuridicamente cancellato. Esattamente quando? Dove? Come e da chi?

Il 13 giugno 1860, a Palermo e nel nome di Vittorio Emanuele II , con un decreto firmato dal dittatore Giuseppe Garibaldi e dal segretario di Stato per l’interno Francesco Crispi. Con lo stesso provvedimento non solo è stato abolito “il titolo di Eccellenza per chicchessia” ma è stato anche decretato, come si evince dall’atto pubblicato in questa pagina, che “non si ammette il baciamano da uomo ad altro uomo”. Non risulta che il decreto garibaldino sia stato “abrogato”, tanto per usare il burocratese, da nessun provvedimento successivo al 1860. Esso è pienamente in vigore, in Sicilia e nel resto del Paese, e dovrebbe costituire orgoglio di un “popolo libero che deve distruggere qualsiasi usanza derivante dal passato servaggio” , come precisò il Generale in preda al furore antiborbonico.

Si mettano il cuore in pace i conservatori di inutili protocollari cerimoniali e si adeguino ad una realtà dove non c’è posto per i fronzoli e per il richiamo a fregi desueti. Si possono rivestire ruoli prestigiosi nella società senza avvertire il bisogno di essere chiamati “eccellenza” (ma di cosa?).

Paradossalmente il capo dei Mille, con la sua decisione dal chiaro sapore antiburocratico, ha “svecchiato”, probabilmente, l’apparato pubblico più di quanto non abbiano fatto, con i loro provvedimenti i vari Bassanini o Brunetta di turno. E poi si ha il coraggio di parlar male di Garibaldi.

Lino Buscemi