'Ti assicuro, Claudio, non ho mai incontrato Paolo Borsellino. Quel giorno mi insediavo da ministro ed ero circondato da compaesani che mi volevano festeggiare. Ma non incontrai Borsellino'. In questo ricordo Mancino era provato". Lo ha detto l'ex ministro Claudio Martelli, deponendo nel processo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, entrambi accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano.
Il nuovo capitolo del processo al generale del Ros Mario Mori, accusato insieme a Mauro Obinu di favoreggiamento aggravato a cosa nostra, entra nel vivo poco prima delle 11. A quell’ora, infatti, inizia la deposizione del teste Claudio Martelli, ministro della Giustizia nel periodo a cavallo tra le stragi di Capaci e Via D’Amelio e il gennaio ’93 quando fu arrestato Totò Riina. Rispondendo alle domande dei pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, l’ex Guardasigilli ha ripercorso la sua attività legislativa al fianco di Giovanni Falcone, e le numerose innovazioni introdotte per modificare gli assetti della lotta alla criminalità.
«Bisogna distinguere due periodi - ha esordito Martelli -. Quello prima delle stragi, e quello successivo. Durante il primo vi fu il tentativo, su impulso di Giovanni Falcone, di riordinare l’assetto delle procure distrettuali in tutta Italia unificandole sotto una procura unica nazionale. Si trattò di un rinnovo totale, che mirava al potenziamento dell`azione di contrasto alla criminalità, al miglioramento della conservazione delle prove e al miglioramento degli strumenti investigativi».
Tra quegli «strumenti» adottati in quel periodo vi fu anche l’inasprimento delle norme restrittive per i condannati per mafia. Una norma, quella del 41-bis, che non ebbe affatto un travaglio semplice: «Trovammo delle resistenze e delle perplessità molto forti riguardo al 41-bis - spiega Martelli -. In primis quella del presidente della Repubblica dell`epoca, Oscar Luigi Scalfaro. Quindi adottammo il provvedimento con un carattere di temporaneità. Anche i parlamentari più garantisti temevano una ripercussione negativa sul clima delle carceri». Le domande dei pm, a questo punto, si spostano sulla presunta trattativa fra Stato e Cosa nostra. «Se avessi saputo di una trattativa l’avrei certamente denunciato - dice Martelli -. Avrei fatto l’inferno. Tantopiù se essa fosse avvenuta con una controparte come Vito Ciancimino, che reputo una delle menti criminali più raffinate in organico a Cosa nostra. Un boss mafioso a tutti gli effetti, tra i più efferati e più pericolosi».
In realtà Martelli seppe, informato dalla sua collaboratrice Liliana Ferraro che aveva incontrato il capitano dei carabinieri De Donno, «che il Ros si stava muovendo per porre fine al periodo stragista». «Ho sempre mal tollerato il comportamento del Ros - ha detto Martelli - che agiva con troppa libertà. Ritenni questi movimenti una grave insubordinazione, così avvertì il ministro degli Interni Sotti, e i vertici della polizia e della Dia». Conclusa la deposizione dell’ex guardasigilli il tribunale ha ammesso l’esame di nuovi testi, tra cui Pino Lipari, l’ex geometra vicino a Provenzano. Il processo è stato rinviato al 4 maggio, quando la Corte ascolterà il colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo.