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14/03/2010 06:00:00

La mafia trapanese e il ruolo di Francesco Nasca nella vendita della Calcestruzzi Ericina

In diverse fasi è stata sancita la responsabilità del capo mafia di Trapani Francesco Pace, condannato anche in appello a 16 Calcestruzzi_Ericina_copy_1.jpganni, dell’imprenditore che doveva acquistare l’impianto, Vincenzo Mannina, condannato a sei anni, e con sentenza pronunciata oggi dal Tribunale di Trapani, è stata riconosciuta la colpa dell’ex funzionario del Demanio, Francesco Nasca, condannato a sette anni: era lui che doveva redigere una stima dell’impianto in modo tale da metterlo in vendita a quel prezzo di favore che era desiderato dai mafiosi.

 

È questa una vicenda dove dentro ci sono tutti gli ingredienti delle connessioni tra mafia, politica e impresa, è questa la storia che racconta il tentativo della mafia di entrare nelle stanze del potere statale, sfidando prefetti, questori, investigatori. È la storia dei mafiosi che interloquendo con la politica volevano che venissero cacciati via prefetti, questori, investigatori.

È la storia recente della nostra città dove resta non considerata nei piani più alti del potere politico l’azione di Cosa Nostra portata fin dentro le stanze della prefettura, quando nel 2002 al prefetto Sodano l’imprenditore Mannina in persona si presentò chiedendo di essere pronto ad acqusitare l’impianto della Calcestruzzi Ericina sapendo di avere alle spalle l’appoggio del capo amfia Francesco Pace. Sodano fermò il tentativo e lo denunciò. E meno di un anno dopo il Governo Berlusconi lo «cacciò» via da Trapani. Che era quello che i boss mafiosi volevano. Un desiderio, il trasferimento del prefetto Sodano apostrofato anche in malo modo, finito intercettato dagli investigatori della Squadra Mobile. La storia - Si diceva storia recente. Riguarda un mafioso che aveva fastidio per i beni confiscati alla mafia. Non solo quelli tolti a lui ma quelli sottratti anche agli suoi degni «compari». L’imprenditore di Paceco Francesco Pace voleva a tutti i costi far sua la Calcestruzzi Ericina, confiscata al suo predecessore, Vincenzo Virga. Non era tanto il desiderio di fare smacco allo Stato, ma in quel periodo, inizia del 2001, a Trapani cominciavano a giungere una serie di finanziamenti per opere portuali ai quali la mafia aveva messo gli occhi addosso. Se non erano le sue imprese a prendere quegli appalti, quantomeno in quei cantieri Pace e soci volevano che arrivassero i camion con le loro forniture, cemento, inerti, asfalti, ferro, che dovevano arrivare dalle loro imprese e dalle imprese a loro vicine.

Pace da solo controllava più di un paio di imprese di cemento per esempio, e che il prefetto Sodano chiedeva agli imprenditori puntando a salvare la Calcestruzzi Ericina che gestita dallo Stato rischiava il fallimento per il crollo delle commesse, di comprare lì, a parità di prezzo il cemento, dava tanto fastidio. E per questo dal mercato andava tolta la Calcestruzzi Ericina, se non facendola fallire, acquistandola, e dalla prefettura andava mandato via quel prefetto. Adesso, secondo i giudici, Francesco Nasca si è prestato a quella strategia. I suoi ex colleghi e superiori d’ufficio hanno parlato di lui come di un soggetto che aveva un certo arretrato nel gestire i beni confiscati, lui durante il processo si è giustificato che le pratiche erano tante, il tempo era quello che era e però avrebbe avuto il tempo per scrivere una proposta di legge per modificare la legge sui beni confiscati, quella che porta il nome di Pio La Torre e Virginio Rognoni, e quel disegno di legge ha detto di averlo fornito al senatore Tonino D’Alì, il parlamentare del Pdl che non è mai uscito del tutto dalle indagini antimafia in provincia di Trapani e che nonostante tutto all’epoca proprio del tentativo dei mafiosi di riprendersi la Calcestruzzi Ericina sedeva al Viminale come sottosegretario all’Interno, anche quando ministro era Pisanu, il ministro che di colpo nell’estate del 2003 fece trasferire da Trapani ad Agrigento il prefetto Sodano senza nemmeno una lettera di ringraziamento per avere tirato fuori dalle secche della burocrazia trapanese l’assegnazione dei beni che erano confiscati e restavano inutilizzati, oltre che salvare dalle grinfie mafiose la Calcestruzzi Ericina.

Anche «don» Ciccio Pace pare avesse il vizio di parlare spesso con i suoi accoliti della necessità di far cambiare la legge sui beni confiscati. E da quando il prefetto Fulvio Sodano ritrovandosi tra le mani un lungo elenco di beni rimasti nel possesso dei mafiosi trapanesi aveva deciso di procedere alle assegnazioni per il riuso togliendo i beni ai mafiosi e ai loro familiari e prestanome che continuavano a gestirli. Per questo, anche per questo, Sodano agli occhi dei boss e dei loro complici divenne «tinto», come quel giudice, Alberto Giacomelli, che fu ucciso dalla mafia nel 1988 giusto quando divenne definitiva una confisca da lui decisa contro il fratello di Totò Riina.

Il racconto ai magistrati del prefetto Fulvio Sodano... "favoreggiatore" dello Stato. Cinque pagine fitte fitte. Il verbale di un interrogatorio su carta intestata della Procura della Repubblica di Trapani. In fondo, alla fine di quel verbale che reca la data del 22 luglio 2004, le firme di un magistrato, il pm Andrea Tarondo e quella di un prefetto, Fulvio Sodano. Dentro c'è scritto il racconto di una storia, di un compito che è stato impedito di assolvere in pieno, fino in fondo, ossia la gestione e l'utilizzo dei beni confiscati, cosa che in provincia di Trapani forse non doveva andare come è andata, e dove alla fine quando era impossibile tornare indietro, qualcuno doveva pagare.

Fulvio Sodano fu "cacciato" via da Trapani nell'estate del 2003 dall'allora Governo Berlusconi, ministro dell'Interno Beppe Pisanu. "Signor prefetto ma lei sta favorendo troppo la Calcestruzzi Ericina". Quella non era una impresa qualsiasi, era una ditta confiscata alla mafia, che era diventata patrimonio dello Stato. Favorire perciò la Calcestruzzi Ericina significava appoggiare lo Stato. E quella era la cosa che stava facendo a Trapani il prefetto Fulvio Sodano, massima espressione dello Stato non poteva fare altro. Chi gli si rivolse a lui dandogli del "favoreggiatore", secondo il racconto di Fulvio Sodano al magistrato che andò a sentirlo, fu l'allora sottosegretario all'Interno senatore Antonio D'Alì.

Ecco il racconto al magistrato da parte del prefetto Fulvio Sodano: «Non appena assunte le funzioni di prefetto di Trapani mi resi conto che la situazione dell'amministrazione dei beni confiscati alla mafia era estremamente grave, nel senso che erano numerosissimi i beni confiscati ma mai assegnati e che molti di tali beni erano ancora nella materiale disponibilità dei soggetti mafiosi cui erano stati confiscati. Immediatamente mi attivai per promuovere incontri con tutti gli enti interessati per tentare di fare attivare le procedure burocratiche di assegnazione incontrando difficoltà ed inerzie, per asserita mancanza di personale». Il prefetto Sodano a quel punto cominciò ad incontrare gli amministratori dei beni confiscati. Fu quello il momento in cui ebbe a conoscere gli amministratori della Calcestruzzi Ericina, il dott. Luigi Miserendino e l'avv. Carmelo Castelli: «Mi rappresentarono l'immobilismo del Demanio rispetto alle loro richieste e mi dissero che nonostante l'ottima qualità di calcestruzzo prodotto, venduto ad un prezzo più basso degli altri concorrenti, incontravano fortissime difficoltà di mercato e il fatturato ogni giorno scendeva sempre di più. Mi dissero che l'azienda rischiava di chiudere».

Il prefetto Sodano comprese subito le conseguenze: «Decisi che un bene acquisito dallo Stato che aveva sia un forte valore simbolico sul territorio sia una incidenza importante in un settore strategico per la mafia quale quello del calcestruzzo, doveva essere salvato e diventare l'emblema della rivincita dello Stato sull'antistato».

La prima persona con la quale il prefetto Sodano affrontò l'argomento fu con l'allora presidente dell'Associazione degli Industriali Marzio Bresciani:

«Gli dissi che non capivo come mai a fronte di un prezzo e qualità migliori i suoi associati preferissero rifornirsi altrove, lasciai intendere che paventavo una possibile interferenza mafiosa. Quindi lo pregai anche in considerazione dell'economicità e della qualità del prodotto, di farsi portavoce presso i suoi associati, magari quelli che più gli erano vicini, di valutare la possibilità di rifornirsi anche presso la Calcestruzzi Ericina......Dopo alcuni giorni saputo che presso il porto erano in corso consistenti lavori contattati con le stesse motivazioni addotte nel colloquio con Bresciani il comandante del Porto Agate perché si facesse presente alla ditta appaltatrice la convenienza a comprare cemento dalla Calcestruzzi Ericina....Tempo dopo seppi che gli interventi avevano sortito un certo effetto gli amministratori della Calcestruzzi Ericina mi dissero che si era allontanato il rischio della chiusura».

Nel giugno del 2002 l'editore di una emittente locale, Giuseppe Bologna, manager di Tele Scirocco, incontrandolo gli disse che giravano certe voci sul suo conto circa un possibile trasferimento:

«Confidenzialmente mi disse di avere saputo che i principali referenti di Forza Italia nella provincia di Trapani avevano chiesto nel corso di un incontro l'allontanamento da Trapani del prefetto, del procuratore e del dirigente della squadra Mobile. Alla cosa non diedi peso».

Il prefetto Sodano continuò la sua attività sui beni confiscati e a favore della Calcestruzzi Ericina. Nelle riunioni ufficiali però cominciarono ad emergere faccende strane: «Fu quando discutemmo con Comune di Favignana e Soprintendenza delle sorti dell'impianto di calcestruzzo che l'Ericina possedeva a Favignana. Quello era l'unico impianto. Mi colpì l'affermazione del rappresentante comunale (il sindaco dell’epoca Ernandez, Forza Italia ndr) che mi disse che una volta terminati i lavori di costruzione di una galleria non c'era più necessità di avere un impianto sull'isola».

Come se a Favignana nessuno avrebbe più costruito e usato cemento che a quel punto se l'impianto avesse chiuso doveva arrivare da Trapani con gli inevitabili costi maggiorati per il trasporto.

Il prefetto avverte che c'è qualcosa di strano che si muove attorno alla Calcestruzzi Ericina. A porre ostacoli non sono malavitosi, mafiosi, imprenditori poco raccomandabili, si fanno avanti le istituzioni. Gli uomini potenti della politica: «Durante una manifestazione ufficiale in prefettura fui avvicinato dal senatore D'Alì Antonio, sottosegretario all'Interno, il quale mi chiese spiegazioni in ordine al mio comportamento relativamente al "favoreggiamento" operato nei confronti della Calcestruzzi Ericina che in base a notizie che aveva avuto da altri avrebbe alterato il libero mercato del calcestruzzo, determinando una sleale concorrenza alle altre aziende del comparto.

Gli spiegai quali fossero le motivazioni del mio comportamento e anzi mi meravigliai di quelle doglianze perché in realtà il mio atteggiamento tendeva esclusivamente a contrapporre una azione forte dello Stato ai poteri mafiosi. In sostanza avrei voluto che un bene ormai di proprietà dello Stato potesse sopravvivere in maniera emblematica contro tutti i tentativi della mafia di riappropriarsene o di distruggerlo. Subito dopo il sottosegretario mi disse che se le cose stavano così non aveva altro da dirmi se non che per l'avvenire questi interventi li dovevo fare esclusivamente in prima persona (era successo che per i lavori al porto aveva delegato il suo vicario dott. Sciara a colloquiare col comandante Agate ndr)».

Tra un colloquio e un altro, tra una riunione ed un'altra, tra un intervento e un altro, accadeva frattanto che i mafiosi aumentavano il livello di fastidio.

Don Ciccio Pace andato fino a Catania per discutere con un imprenditore che aveva preso una grossa commessa per il porto di Trapani, e perciò patteggiare le forniture, si sentì dire che il prefetto si era fatto avanti a favore al solito della Calcestruzzi Ericina.

Ai mafiosi perciò non restava altro che liberarsi di quell'impresa che toglieva loro affari. Se non poteva fallire allora doveva essere rilevata da un loro uomo. Certo non si dovevano spendere grossi cifre. Sarebbe bastata una sottostima e il gioco era fatto.

A disposizione il funzionario del Demanio Francesco Nasca. Ora condannato. Ai mafiosi a fine 2002 balena l'idea di sollecitare la vendita della Calcestruzzi Ericina. Nel gennaio 2003 il prefetto Sodano racconta di avere ricevuto una visita. «Mi fu chiesto un incontro da parte del presidente di Assindustria Marzio Bresciani. All'incontro si presentò anche l'imprenditore Vito Mannina. Mi fu consegnata la proposta per la nomina a cavaliere dello stesso Mannina. Durante la riunione incidentalmente fu avanzata la proposta di acquisizione da parte dell'impresa Mannina della Calcestruzzi Ericina con assorbimento da parte dell'impresa Mannina di manodopera e acquisizione dei beni aziendali. Feci presente che in questo interlocutore principale era l'Agenzia del Demanio, uno degli interlocutori, mi fece presente che loro avevano già sentito il geometra Nasca che aveva già dato il suo assenso. Poiché ero a conoscenza che da alcuni mesi Nasca era stato sollevato dai suoi incarichi in materia di beni confiscati mi meravigliai con loro per essersi rivolti a tale soggetto, comunque rinviai ogni altra discussione ad altra seduta successiva. Per me portare avanti quella richiesta significava abdicare alle mie iniziali decisioni che andavo perseguendo, incaricai il capo di gabinetto di contattare l'associazione degli industriali per dire che della loro proposta non se ne faceva nulla. Con l'Assindustria ebbi comunque un altro incontro, erano stati molto insistenti nel chiederlo, stavolta c'era presente il figlio di Vito Mannina, Vincenzo, fu l'occasione per manifestare di persona tutte le mie perplessità, ma feci presente che siccome la titolarità era del Demanio, potevano rivolgersi a quell'ente, feci loro capire che se fosse stato chiesto il mio parere sarebbe stato negativo».

La Calcestruzzi Ericina non fu venduta. Gli imprenditori non ci provarono nemmeno a parlare con i funzionari dell'Agenzia del Demanio e con chi aveva tolto l'ex funzionario Nasca da quella poltrona. Per capire chi è Nasca basta ricordare un episodio, di quelli che non sono entrati in alcun fascicolo giudiziario. Tra i beni confiscati che restavano in uso ai mafiosi e ai loro congiunti vi era la casa del boss mafioso Vincenzo Virga.

Il prefetto Sodano ordinò l'azione di forza facendo sgombrare la palazzina di tre piani dalla moglie e dai figli del boss. Quell'edificio nel marzo del 2001 fu assegnato alla comunità dei giovani di Padre Salvatore Lo Bue. C'è una foto che ritrae la consegna delle chiavi da parte di Nasca a padre Lo Bue. Quest'ultimo qualche giorno dopo dovette restituire quelle chiavi. Le procedure seguite non erano corrette. La casa per sette anni è rimasta vuota in attesa di nuova assegnazione. Cosa che è avvenuta solo due anni addietro.

Il prefetto Sodano fu nel luglio del 2003 che presiedette in prefettura la sua ultima riunione da prefetto di Trapani. Fu una riunione che mise le basi perché i beni confiscati mai più restassero inutilizzati. Al suo fianco c'è seduto il presidente di Libera Luigi Ciotti.

Personalmente a me confidò: «Vado via per questa riunione».
Nel verbale di interrogatorio il pm gli chiese. È a conoscenza dei motivi del suo trasferimento da Trapani ad Agrigento? Si trattava di un trasferimento già programmato? Sodano così rispose quando ancora poteva parlare, oggi la malattia lo tiene inchiodato su una sedia a rotelle:

«Ho avuto conoscenza del mio trasferimento nel tardo pomeriggio del giorno precedente la seduta del Consiglio dei Ministri. Mi telefonò il capo di gabinetto del ministro facendomi presente che l'indomani sarei stato nominato prefetto di Agrigento. Alle mie rimostranze basate sul mio momento non facile di salute, noto al ministero, e per il quale avevo chiesto di rimanere a Trapani almeno altri sei mesi, ebbe a dirmi che la distanza che rispetto ad Agrigento c'era con Palermo era identica a quella con Trapani, mi invitò a prendere servizio ad Agrigento perché l'amministrazione mi sarebbe stata vicina. Tutto questo avveniva mentre non molto tempo prima aveva avuto garanzia che per un po' di tempo non sarei stato trasferito. All'epoca di quel mio trasferimento molti altri colleghi che avevano raggiunto le loro sedi in concomitanza con la mia assegnazione a Trapani erano ancora in quelle stessi sedi».

Come ha detto nella sua requisitoria il pm Andrea Tarondo oggi si è dinanzi ad un processo nato anche dall’azione di un uomo valoroso e coraggioso, il prefetto Fulvio Sodano, al quale deve andare il plauso e il riconoscimento di chi ha davvero a cuore la legalità.

Un prefetto al quale la città di Trapani tramite il suo attuale sindaco, l'avv. Girolamo Fazio, continua a negare la cittadinanza onoraria, concessa invece a quei giornalisti che nei giorni della Coppa America parlavano bene di Trapani, del suo mare e delle arancine, Coppa America che oggi si conferma essere stata crocevia di loschi affari nella fase di allestimento (cantieri del porto di Trapani).

Crocevia nel quale emerge il nome del senatore D’Alì. Ma nel processo a Nasca il nome del sen. D’Alì è uscito anche in un’altra circostanza oltre a quella della proposta di legge che Nasca ha detto di avergli passato per modificare la norma sulle confische, il nome del politico è stato fatto da uno degli amministratori della Calcestruzzi Ericina che seppe della revoca di una commessa a favore della Calcestruzzi Ericina (fatta dalla imprenditrice di Partinico Bertolino per la costruzione di un deposito al porto di Trapani di prodotto alcolici) proprio perchè ci sarebbe stato l’intervento del parlamentare.

«Vincere facile». Come in tanti altri affari, anche in questo, l’acquisto della Calcestruzzi Ericina, la mafia voleva «vincere facile», utilizzando l’appoggio del funzionario del Demanio Francesco Nasca.

«La Calcestruzzi Ericina – ha detto il pm Tarondo – era una sorta di “spina nel fianco” della mafia, non era gradito il fatto che per la prima volta veniva gestita dagli amministratori giudiziari con criteri imprenditoriali, senza subire l’influenza dell’associazione mafiosa che in precedenza era riuscita sempre a svuotare i provvedimenti di confisca, continuando a tenere il possesso illecito dei beni. Su questo Cosa nostra ha fatto una battaglia, l’ha perduta grazie al diretto impegno del prefetto dell’epoca, Fulvio Sodano, che si è speso in modo risultato eccessivo per la sua salute ma solo così è riuscito ad ottenere garantita la sopravvivenza di questa impresa simbolo della legalità in questo territorio. Tutto questo a prezzo di tante cose, come il suo trasferimento».

«Ci sono state istituzioni che dovevano difendere la Calcestruzzi Ericina ma si sono attivate per farle venire meno le commesse». Il prefetto Sodano turbò il mercato «perchè voleva renderlo libero, ponendosi contro un ordine mafioso costituito e vicino a certi poteri sui quali – ha sottolineato il pm Tarondo – speriamo di potere continuare a lavorare, ma questa è un’altra storia e spero che si scriverà». Il senso di queste parole che si coglie è quello che continuano le indagini sul trasferimento improvvisoda Trapani nell’estate del 2003 del prefetto Sodano.

Rino Giacalone



EA2G | 2024-12-23 14:54:00
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