Lo affermano tre vescovi del Mezzogiorno intervistati da Famiglia Cristiana. “Se dopo Pasqua nessuno ne parlerà, avremo fallito”, ha osservato il vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero, che teme una Chiesa “icona dell’antimafia”, che sollevi i singoli dalle proprie responsabilità. “Non siamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda” anche nella Chiesa – ha aggiunto – e occorre riflettere “anche nelle nostre comunita” sul senso della “parola terribile” citata nel documento Cei sul Mezzogiorno: ‘collusione’. Insomma, servono segnali concreti, azioni dimostrative: “Ogni comunità – propone Mogavero – scelga un argomento in relazione alla situazione del proprio territorio e agisca: pizzo, usura, corruzione della politica, mafia devota che offre soldi per le feste popolari”. Essendo pronti a “pagare di persona”. Il vescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, quello che a Natale tolse i Re Magi dal presepe lasciando la scritta: ‘respinti alla frontiera’ come immigrati clandestini, propone di “abolire ogni festa religiosa nei paesi dove si contano gli omicidi. Il sacro non basta per ritenersi a posto – dice – se poi nessuno denuncia e la cultura mafiosa è l’unica ammessa”. “La nostra gente deve tornare a essere protagonista, e di diventa protagonisti con il voto e con volti nuovi”, ha osservato il vescovo di Locri, mons. Giuseppe Morosini, e forse “bisognava essere più chiari, anche nelle responsabilità di una Chiesa a volte troppo timida”.