Giovanni Battista Giacalone, che secondo gli inquirenti avrebbe ricoperto il ruolo di co-reggente della famiglia mafiosa di San Lorenzo, insieme con Massimo Giuseppe Troia, e' stato sottoposto a fermo nel gennaio del 2008 nell'ambito dell'operazione antimafia 'Addio pizzo' perche' ritenuto "gravemente indiziato del delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso". Il 14 marzo 2008 Giacalone e' stato destinatario di un ulteriore decreto di fermo emesso dalla Dda per trasferimento fraudolento di valori aggravato.
Con lo stesso provvedimento sono stati sottoposti a sequestro preventivo alcune societa' "di pertinenza dei Lo Piccolo e acquisiti con gli illeciti proventi dell'associazione mafiosa".
L'operazione di oggi, condotta congiuntamente dalla polizia e dalla Guardia di finanza, trae origine dall'esame degli esiti dell'operazione 'Addio pizzo' che si e' sviluppata in diverse tranche e che ha portato all'arresto di numerosi affiliati a Cosa nostra.
Il gruppo Giacalone, gestito secondo le direttive di Giovanni Battista Giacalone "ha potuto liberamente operare -dicono i magistrati- ottenendo potere, consenso e ricchezza". Le indagini condotte hanno consentito di acclarare come i beni sequestrati oggi e i provvedimenti sospensivi, "costituiscono il frutto dell'attivita' imprenditoriale e non, svolta da Giacalone utilizzando risorse illecite di Cosa nostra, con particolare riferimento alla famiglia di San Lorenzo, rispetto alla quale ha svolto un ruolo di vertice".
Dalle indagini è emerso che Giacalone aveva in progetto di aggiungere alle società, gestite da suoi prestanomi, una catena di supermercati con oltre 40 punti vendita in tutta la Sicilia con il marchio Qui Discount, poi divenuto Mio Discount, di cui il gruppo Giacalone aveva l'esclusiva.
Gli inquirenti, inoltre, grazie alle intercettazioni telefoniche, hanno scoperto che diversi dipendenti dell'imprenditore erano familiari di affiliati mafiosi: attraverso l'assunzione di parenti di uomini d'onore, Cosa nostra mira ad accrescere il consenso sociale. Un esempio è l'assunzione della vedova del boss Giovanni Bonanno, fatto sparire col metodo della lupara bianca, impiegata, nel 2007, in un supermercato di Giacalone.
Questo l'elenco dei beni sequestrati da polizia e Finanza, che hanno eseguito un provvedimento della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, riconducibili all'imprenditore Giovanni Giacalone: l'intero capitale sociale e il complesso dei beni costituiti in azienda della società "Gruppo industriale Alimentari e Carni srl in breve Giac s.r.l."; il capitale sociale e il complesso dei beni costituiti in azienda della società "Giac Cash srl"; il capitale sociale e il complesso dei beni costituiti in azienda della società "Alimentaria srl"; il capitale sociale e il complesso dei beni costituiti in azienda della società "Gi. Di Giacalone distribuzione srl". E ancora quote del capitale sociale della "Ca. & Gi. Srl" , della "Archivis Sicilia srl", della "Vision Maxischermi srl", della "G. Discount srl", della "Five Immobiliare srl", della "Pot s.r.l.", della "Full s.r.l.", della "Coupe s.r.l.", della "Double s.r.l.", della "Tris s.r.l.", della "Poker s.r.l.", della "Ce.Di. Reale s.r.l.", della "Damogi srl", della "Qui Agrigento srl" e della "R.c.g srl" di Milazzo. Sequestrati anche 14 rapporti bancari (tra cui una cassetta di sicurezza e polizze assicurative) per un valore di 138.671 euro e 14 appartamenti.