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11/12/2009 05:56:58

L'acqua deve restare pubblica. La battaglia dei Comuni siciliani

E' una mobilitazione straordinaria e senza precedenti''. Lo dice Giovanni Panepinto, sindaco di Bivona (Agrigento) e deputato regionale siciliano del Pd. Il ddl di iniziativa popolare puo' essere presentato da almeno 40 Consigli comunali che rappresentino una cittadinanza di 400 mila cittadini, o attraverso la raccolta di 10 mila firme.

 

Lo scorso 25 Novembre Sindaci, assessori e consiglieri comunali in rappresentanza di circa 100 comuni siciliani hanno manifestato di fronte l'Assemblea regionale siciliana per dire "no" alla privatizzazione delle reti idriche.
Insieme a loro anche i rappresentanti di alcuni comitati cittadini. Tutti chiedono l'approvazione di un disegno di legge all'Ars per la "ripubblicizzazione" delle reti, e chiedono al presidente della Regione di ricorrere contro il decreto Ronchi, recentemente approvato dal Parlamento nazionale, che di fatto facilita la privatizzazione dell'acqua, permettendo di conferire a ditte esterne tutti i servizi pubblici locali.
Lo scorso 4 Dicembre, poi, i consigli comunali delle amministrazioni che si oppongono alla privatizzazione delle reti idriche si riuniranno in contemporanea per avviare la procedura di presentazione di un disegno di legge di iniziativa popolare all'Ars, che prevede il ritorno alla gestione pubblica delle reti idriche in Sicilia.

Attualmente all'Ars è depositato un disegno di legge che chiede il ritorno alla gestione pubblica delle risorse. Il ddl, che su iniziativa delle amministrazioni comunali dovrebbe essere 'trasfromato' in testo di iniziativa popolare, parte dal presupposto che sebbene l'acqua continui ad essere considerata bene pubblico, "la privatizzazione della gestione e delle reti idriche, di fatto, la trasforma in una risorsa sulla quale i privati possono lucrare".
Altra questione di attualità è legata alla recente approvazione da parte del parlamento nazionale del 'decreto Ronchi', che prevede la liberalizzazione dei servizi pubblici locali da parte dei comuni, fra questi anche l'acqua. Chi si oppone alla privatizzazione chiede che la Regione, forte oltretutto della propria autonomia legislativa, debba ricorrere presso la Corte Costituzionale contro il decreto, come hanno già annunciato altre regioni.

"Il nostro obiettivo - ha detto Rosario Gallo, sindaco di Palma di Montechiaro (Ag) - è fare arrivare al parlamento regionale un testo forte, supportato da una decisa e chiara volontà popolare. Serve l'approvazione di almeno 40 consigli comunali che rappresentino una popolazione di 400 mila persone. Ma parallelamente intendiamo avviare anche la raccolta di firme, servono 10 mila adesioni".
"Portiamo avanti questa battaglia - dice Michele Botta, sindaco di Menfi (Ag) - perchè lo chiedono i cittadini. Basta andare nei comuni vicini, dove il servizio è già stato privatizzato, per rendersi conto che la realtà è sconfortante. Le tariffe sono aumentate e i servizi sono peggiorati, se c'è un guasto gli interventi sono effettuati in media dopo 10 o 15 giorni".

In prima linea nella lotta contro la privatizzazione dell'acqua anche padre Saverio Catanzaro, parroco della Chiesa Madre a Menfi (Ag) che ha sfilato con una pistola ad acqua. "Lo dice il Vangelo, non è giusto fare affari sulla povera gente: fedeli, cittadini, munitevi di una pistola ad acqua e resistete a questo sopruso". "La pistola ad acqua è una provocazione - ha spiegato - ma anche un simbolo per chi vuol resistere pacificamente di fronte ad una ingiustizia. L'acqua è un bene per la vita e sulla vita nessuno deve metter le mani. La privatizzazione, dove c'è stata, ha portato arricchimento per pochi e disagi per tanti. Qualcuno dice che è l'affare del secolo, forse è vero. Io ascolto la gente, e la gente è contraria alla privatizzazione".
Quando al comune di Menfi, nei mesi scorsi, è arrivata la richiesta di consegna delle reti idriche, le campane della Chiesa Madre hanno suonato a morte. "Era la morte della democrazia", ha concluso padre Catanzaro.

 

L'iter della privatizzazione va avanti dal 1999 - Il processo di privatizzazione delle reti idriche in Sicilia parte nel 1999 quando, nella finanziaria regionale, si prevede l'istituzione degli Ato idirici, che vengono poi definiti 2001. In Sicilia nascono così nove Ato (Ambiti territoriali ottimali), uno per provincia.
Il passo successivo è l'individuazione dei soggetti gestori delle reti idriche: la gara va a buon fine in sei province, mentre fallisce a Trapani, Ragusa e Messina. Dove si individua il gestore, si avviano le procedure per la consegna delle reti. Procedure che in alcuni casi vengono contestate dagli amministratori locali che, supportati dalle protese dei cittadini che temono l'aumento delle tariffe, si rifiutano di procedere alle consegne.
L'Arra, l'agenzia per le acque e rifiuti, invia nei comuni 'ribelli' dei commissari, ma in alcuni casi la protesta ne impedisce fisicamente l'ingresso nelle sedi municipali. Nel marzo di quest'anno l'Assemblea regionale siciliana approva un ordine del giorno che impegna il governo a sospendere le procedure di commissariamento, ma l'indicazione viene 'aggirata' dall'Arra che in alcuni casi invia ai comuni note di diffida che intimano la consegna delle reti ai gestori privati.



EA2G | 2024-12-23 14:54:00
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