Ciò potrebbe essere detto, allo stesso modo, di questo libro, che è poca cosa a fronte dell’estesa produzione scientifica dell’autore, ma scorrendo le pagine dell’innocente manoscritto si scoprono le sue nobili origini: Dentro il mare. Il mare dentro configura la retroguardia del pensiero, delle immagini, delle esperienze che hanno attraversato l’attività scientifica e l’esperienza clinica dell’autore. Il paradigma teorico della gruppoanalisi soggettuale elaborato da Lo Verso qui torna alle sue radici, arretra nella sua formalizzazione, si riavvolge come un nastro, si scompone mostrandosi in forma grezza: un progetto scientifico che nasce dal sogno di esplorare ciò che è profondamente umano. La relazione, l’estraneo, il femminile e il maschile, il pericolo, la passione, la meraviglia sono questi i temi che, nel testo, vengono affrontati con insostenibile leggerezza, disvelando la radicalità delle cose umane.
Nelle prime pagine, l’elogio al mar Mediterraneo si fregia di una citazione di Metevejevic (1991): “quanto più possiamo sapere di questo mare, tanto meno lo guardiamo da soli: il Mediterraneo non è un mare di solitudine”. Il mare come topos dell’incontro, dello scambio, dell’esperienza relazionale con l’altro, per un sorprendente gioco di chiaro scuri tra narrativa e scienza clinica, diviene il vessillo simbolico-evocativo della gruppoanalisi soggettuale.
Nel mare, descritto dall’autore, la vita sembra scomporsi e ricomporsi per dare l’idea di un flusso eterno, assoluto, inafferrabile nella sua indefinitezza, come tutti i luoghi del molteplice, esattamente come la psiche. La mente non può essere assimilata ad un immersione guidata, né ad una gita al lago, né tanto meno ad una imbarcazione perfetta e superaccessoriata.
La mente è conflittuale per eccellenza, è attraversata da turbamenti, da tempeste per le quali spesso non si è attrezzati, è salmastra perché vitale, dinamica ed interattiva a tal punto da provocare sofferenza come l’emozione che si prova sott’acqua talmente acuta da istallare angoscia, panico, precarietà ontologica. L’esperienza dell’immersione subacquea e dell’immersione psicoanalitica nel modo interno si compenetrano e si arricchiscono prendendo in prestito l’una dall’altra forme e figure della psiche, sensazioni, immagini. Tuttavia, la riflessione sull’umano non si arresta nel bozzolo liquido delle profondità marine, né tanto meno nel setting analitico, ma dialoga con il mondo, con la storia, con l’arte, con l’antropologia, con l’epistemologia fino a rivelare tutta la commozione di un accorato ringraziamento al mare, grembo filogenetico di vita, che attraverso lo stupore ed il trasalimento fa sentire vivi, ancora.
Recensione di Emanuela Coppola