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08/10/2009 09:00:44

Parla il pentito Nino Giuffrè: "La mafia cercava come referenti Forza Italia e Dell'Utri"



Questi i punti principali della lunga deposizione fatta da Nino Giuffré, collaboratore di giustizia dal 2002 e a suo dire ex collaboratore principale del boss Bernardo Provenzano. Un giorno intero di esame davanti ai giudici del tribunale di Palermo, in trasferta a Roma nell'aula bunker del carcere di Rebibbia proprio per sentire 'Nino Manuzza'. Il processo vede accusati di aver favorito Cosa Nostra il prefetto Mario Mori (ex comandante del Ros ed ex direttore del Sisde) e il colonnello Mauro Obinu (ex comandante di Reparto del Ros); i fatti, quelli del presunto favoreggiamento alla mafia nell'ambito dell'inchiesta per il mancato arresto, nel 1995 a Mezzojuso (Palermo), di Provenzano.


Di Cosa nostra, Giuffré ha parlato a 360 gradi, rispondendo alle domande dei pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia. Una versione che si è soffermata su punti ritenuti di grande interesse. Il primo è quello politico. Dopo l'arresto di Vito Ciancimino "la Dc e il Psi - ha detto Giuffré - si avviarono al tramonto e in Cosa Nostra si decise che un nuovo soggetto politico andava appoggiato: era Forza Italia. Sui politici di riferimento, per come ho appreso da Provenzano, Greco e Aglieri, si parlava di Marcello Dell'Utri". Lo scopo dell'interessamento politico della mafia, a detta del pentito, era "la continuazione di una trattativa con lo Stato, oggetto di una missione che era stata data tempo prima a Vito Ciancimino.

Lui era nelle mani di Provenzano; lo possiamo includere tra coloro che hanno consigliato Provenzano per quanto riguarda la politica, ma anche coautore della metamorfosi di Cosa nostra con l'abbandono della strategia stragista". Quale la 'missione' di Ciancimino?: "Trattare con le istituzioni per risolvere i nostri problemi, che erano, tra l'altro, i sequestri dei beni, i collaboratori di giustizia, il carcere duro, gli ergastoli. Provenzano disse che in 10 anni i problemi di Cosa nostra si sarebbero appianati". Secondo 'passaggio' della testimonianza di Giuffré è stata la figura di Provenzano e, in qualche misura, anche di Totò Riina, ovvero di due schieramenti e strategie diverse.

Obiettivo puntato su un dubbio che riguardava proprio Provenzano: "Si parlò di 'sbirritudine' - ha detto Giuffré - ascoltai discorsi relativi a rapporti tra Provenzano e i carabinieri. Era una voce insistente. Quando poi ci fu il periodo dei grandi arresti e solo Provenzano rimase fuori, ho sospettato anche io di lui. Mentre non ho mai sentito fare discorsi di 'sbirritudine' su Bagarella. Che Riina, poi, fosse confidente, no; anzi, dicevano che lui aveva persone nelle forze dell'ordine che gli passavano notizie". Sulla diversità dei capi di Cosa Nostra, Giuffré ha detto che "si manifestava in una diversa strategia: da una mafia molto appariscente così come aveva voluto Riina, a una mafia senza rumore, sommersa, che era quella di Provenzano".



EA2G | 2024-12-23 14:54:00
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