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01/09/2009 16:37:23

Continua a Marsala la mostra sul Giappone

Le feste religiose (matsuri) giapponesi hanno origini antichissime, a Kyoto alcune vengono celebrate quasi ininterrottamente da più di mille anni. Esistono svariate tipologie di matsuri: alcune prevedono gare di tiro con l’arco rituale (kyudo), e altre hanno il precipuo scopo di rievocare il periodo Heian in cui la città era capitale (794-1185). Nel cuore dell’inverno gruppi di devoti si ritirano dal mondo per un periodo di pratiche ascetiche che in genere si conclude con docce fredde di purificazione e danze dei nudi (hadaka odori). Molte feste primaverili celebrano la rinascita della vegetazione dopo il lungo letargo invernale, spesso interpretata come la vittoria del bene sulle forze del male. In propiziazione di un buon raccolto di riso, vengono offerti agli dèi (kami) cibi, fiori, oggetti votivi di ogni tipo. Nell’infinita trasformazione che, secondo le credenze buddiste, genera, anima e governa il mondo, il fuoco riveste un ruolo fondamentale. Le preghiere, pazientemente scritte su tavolette di legno (goma), arrivano più velocemente a destinazione se bruciate.
Alcune delle feste più famose prevedono processioni alle quali assistono folle strabocchevoli. Tutti i ceti sociali, bambini, famiglie, vecchi, ragazze belle come i fiori delle loro coloratissime yukata (kimono estivi in cotone o lino), vanno per strada, mentre i palanchini decorati (mikoshi) vengono tirati o portati sulle spalle da centinaia di uomini seminudi che, abbandonata la tradizionale riservatezza nipponica, corrono, urlano, saltano, sudano. Ad un segnale invisibile e misterioso, i portatori si arrestano all’improvviso, si siedono tutti per terra accanto ai mikoshi e lasciano che il prete scintoista (kannushi) si riappropri dello spirito degli dèi (kami)
In un ipotetico elenco delle grandi mete spirituali del mondo, pochissimi occidentali includerebbero il Giappone. Eppure proprio qui vanno cercati alcuni dei templi più incantevoli del mondo: tutto in Giappone sconfina sempre nel territorio del sacro e nessuno degli aspetti più famosi della cultura giapponese, dalla cerimonia del tè al giardino, dal teatro Noh all’ikebana, e persino alle arti marziali e al sumo, è esente da una fortissima carica spirituale.

Teatro tradizionale a Kyoto


Ogni anno ai primi di giugno nel santuario Heian di Kyoto, vengono accese al far della sera delle pire per illuminare i suggestivi spettacoli di ‘Noh del fuoco’ (Tagiki Noh). Esistono cinque categorie di teatro Noh, a secondo se i protagonisti siano dèi (kami noh), uomini (shura mono), donne (katsura mono ‘storie di parrucca’), pazzi (zatsu mono), o demoni (kiri noh). L’albero di pino dipinto sullo sfondo e i pini (veri) che costeggiano il corridoio di accesso al palcoscenico sono reminiscenze del tempo in cui lo spettacolo vaniva rappresentato vicino ai boschi. Tre diversi tipi di tamburo e particolarissimi richiami vocali (kakegoe) da parte dei percussionisti aumentano la tensione e creano un crescendo nelle scene drammatiche. L’uso del coro (jiutai) proviene dalle cantilene buddiste, fornisce un commento all’azione e spiega perché i personaggi si stiano comportando in una certa maniera. Insieme agli splendidi costumi, le maschere sono ciò che più colpisce un occidentale. Sono oggetti misteriosi, affascinanti, sacri, indispensabili per il Noh. Come nel teatro di qualunque parte del mondo fino a tempi molto recenti, gli attori sono tutti maschi e usano la maschera quando interpretano una donna o un essere sovrannaturale.
Per allentare la serietà dello spettacolo con qualcosa di più leggero, il Noh viene sempre intramezzato da una farsa (kyogen) che oggi ha acquisito grande popolarità anche come spettacolo a sé stante. Mentre il Noh, su uno sfondo buddista altamente simbolico e stilizzato, offriva intrattenimento alla classe dei samurai, il repertorio del kyogen include storie umoristiche ispirate alla vita plebea quotidiana del periodo Muromachi (1394-1466), molte delle quali narrano le comiche disavventure del servo Tarokaja, il Giufà giapponese. Le storie sono ispirate da personaggi vissuti o fatti forse realmente accaduti nel quartiere, ma non mancano episodi storici o parabole di demoni e anime alle prese con Enma, re dell’inferno.
Nel tempio Senbon Enma-do di Kyoto, in commemorazione di eventi miracolosi avvenuti in quella zona della città oltre 1000 anni fa, sono rappresentati spettacoli di un tipo di kyogen chiamato nenbutsu dal nome di una preghiera ad Amida Buddha. Ininterrottamente dal periodo Kamakura (1192-1333), per quattro giorni ai primi di maggio, nello stesso posto e nello stesso tempo dell’anno, si compie l’ennesimo rito giapponese, sempre in bilico fra sacro e profano.

“Lo spirito del Giappone, più che spiegato o studiato, va semplicemente ‘sentito’, assorbito. Ricopiando il sutra nell’atmosfera rarefatta del tempio, l’unico rumore che avvertivo era il battere implacabile della pioggia che innaffiava naturalmente i celebrati muschi, e ad ogni tratto del pennello affondavo lentamente sempre più nel terreno inesprimibile del sacro. La pioggia continuava incessante; invece che rovinare la nostra passeggiata nel giardino, l’aveva resa ancora più suggestiva. Scendendo una dozzina di scalini, mi sono ritrovata nel buio totale di un ambiente sotterraneo, che intendeva richiamare il ventre materno, che è anche il ventre della terra, e in pochi minuti ciascun visitatore, che lo volesse o no, diventava pellegrino e avvertiva totalmente cambiata la propria dimensione.”

Marcella Croce
è nata a Palermo e ha conseguito il dottorato in letteratura italiana presso la University of Wisconsin-Madison (USA). È giornalista e collabora al quotidiano “La Repubblica”. Per conto del Ministero degli Esteri è stata docente di italiano all’Università di Isfahan (Iran) e di Kyoto (Giappone). Ha pubblicato vari libri sulle tradizioni popolari siciliane e Oltre il chador - Iran in bianco e nero (Medusa, Milano) con cui ha vinto il 1° Premio di scrittura femminile “Il paese delle Donne”, Roma 2007. Le sue pubblicazioni più recenti sono Eat smart in Sicily (Ginkgo Press, USA) e “Guida ai sapori perduti – storie e segreti del cibo siciliano” (Kalòs, Palermo) che sono stati presentati negli Istituti Italiani di Cultura di Washington, San Francisco e Vancouver. Con il figlio, Andrea Matranga, ha presentato la mostra fotografica “Riti e teatro tradizionale a Kyoto” presso il Museo Internazionale delle Marionette di Palermo e l’Art & Culture Association di Atene.




I giapponesi non ritengono di dovere ‘scegliere’ una religione, e la maggior parte della gente si muove con disinvoltura fra lo scintoismo indigeno e un buddismo che ha ricevuto profonde modifiche rispetto a quello importato dal continente nel lontano 6° secolo. Marcella Croce, giornalista e scrittrice, è stata docente di lingua italiana per conto del Ministero Affari Esteri italiano presso la Ritsumeykan University di Kyoto, antica capitale culturale del Giappone. Durante quel periodo (2005-2006), insieme al figlio Andrea Matranga, giovane e promettente fotografo dilettante, ha fotografato spettacoli di teatro Noh e Kyogen e alcuni fra i numerosi matsuri (‘feste religiose’ in giapponese), celebrati annualmente a Kyoto (oltre 60000 in tutto il paese) per i quali vengono spese incalcolabili energie spirituali, fisiche e materiali.