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16/07/2009 03:23:11

A Marsala regna l'omertà. E così la mafia prospera


Quando nel 2007 uscirono dal carcere ebbero un solo obiettivo: ricominciare a riscuotere il pizzo. Le intercettazioni rivelano che chiedevano anche il pregresso, in pratica le “rate” mensili del pizzo che erano saltate a causa della scarcerazione. I nuovi boss hanno a disposizione armi e fucili da precisione. “Una nuova virulenza, una disponibilità nei confronti della famiglia ” la chiama il capo della Mobile Giuseppe Linares. E non è un caso che Matteo Messina Denaro ne auspicasse la scarcerazione, proprio perché sapeva dell’efficacia di questi uomini.
Ma l’organizzazione da sola non basta. La fortuna dei mafiosi è che si muovono in un territorio, Marsala, dove quasi nessuno denuncia il pizzo e il racket delle estorsioni, e dove imprenditori, commercianti, cittadini spesso sono più o meno inconsapevolmente complici della criminalità organizzata, permettendo a vecchi e nuovi boss atteggiamenti disinvolti e il controllo della città ottenuto con estrema facilità.
E così in poco tempo il controllo del territorio è ristabilito. Dalle estorsioni ai piccoli furti. “Ciò che preoccupa – dicono oggi magistrati e investigatori – ed emerge è il clima di omertà che favorisce il controllo capillare della città da parte di Cosa Nostra. Nessun imprenditore a Marsala denuncia il pizzo”.
Queste parole fanno seguito a quelle di Dicembre 2007 del Pubblico Ministero Scarpinato, che allora parlò per Marsala di una “omertà ottocentesca, una vera diserzione civile” . A lui fece seguito il PM Piscitello: “È molto triste una situazione del genere si è arrivati più volte all’assurdo quando, durante gli interrogatori, le persona danneggiata negavano di aver subito il danno, dicendo di non conoscere né i fatti né le persone in questione. Il tutto per paura di alcuni soggetti”. Il riferimento era in quel caso ad un gruppo di personaggi arrestati per estorsione, che “neanche si potevano definire mafiosi”, dato che il loro ruolo appariva molto defilato. Eppure riuscivano a fare lo stesso il bello e il cattivo tempo tra i commercianti, grazie ovviamente al benestare di Cosa Nostra.
Ancora un passo indietro. Il 28 Settembre 2007 la polizia arresta con un inseguimento spettacolare a Piazza della Repubblica Giovan Battista Della Chiave, il complice di Orazio Montagna nell’omicidio del giovane trapanese Nino Via, assassinato durante la rapina al supermercato dove lavorava come cassiere. In molti conoscevano Della Chiave e sapevano della rapina con Montagna (e dell’omicidio di Via) ma nessuno ha parlato.
Alcuni giorni dopo, sempre a Marsala, viene arrestato Antonino Rallo, il presunto mafioso tra i cento latitanti più ricercati (dal 2002), accusato di alcuni delitti. Rallo godeva della copertura di un imprenditore insospettabile, Michele Giacalone, che curava la sua latitanza. Il Pubblico Ministero Roberto Piscitello, in merito all'arresto, ha affermato che “inquieta il fatto che ricercati, mafiosi, delinquenti, riescono a beneficiare di appoggi da parte di insospettabili della cosiddetta società civile, sempre e comunque pronti ad assicurare la propria copertura. Soggetti -continua Piscitello- che fanno dell'omertà uno stile di vita. Si tratta di gente comune, di padri di famiglia, di lavoratori, che tifano, incondizionatamente per la mafia, piuttosto che inneggiare alle istituzioni. Questa – conclude il magistrato – è, per lo Stato, la sconfitta più umiliante”.

Proprio nella relazione della Direzione Investivgativa Antimafia sullo stato della mafia in Provincia di Trapani si parla «penetrante controllo del territorio» da parte della mafia e cioè i «consensi riscossi che hanno assunto contorni di vera e propria connivenza». Situazione questa che spiega la capacità del super boss Messina Denaro a riuscire a restare ancora latitante.  «Cosa Nostra può contare su una cerchia indefinita di fiancheggiatori che al momento opportuno si mettono a disposizione, soggetti che formano la cosiddetta zona grigia, all’interno della quale si materializzano momenti di una realtà sociale multiforme, il cui denominatore comune è rappresentato dal disconoscimento dell’autorità statale e dalla spontanea compenetrazione dei suoi adepti ai modelli di riferimento proposti da Cosa Nostra».

Secondo la relazione della Dna, l’imposizione del «pizzo» a tutte le imprese, lavori e servizi pubblici, continua ad essere lo strumento principale di arricchimento e contemporaneamente di controllo del territorio da parte di Cosa Nostra: «Il pagamento del pizzo è recepito come atto dovuto da essere sostanzialmente considerato dalle imprese alla stregua di un costo di produzione; la costante registrazione di atti intimidatori e danneggiamenti più o meno gravi non è quasi mai seguita dalla collaborazione dei soggetti destinatari di tali atti che già nell’immediatezza del fatto - quindi in condizioni psicologiche che potrebbero essere favorevoli alla denuncia - si trincerano dietro la negazione assoluta di ogni seppure minimo elemento, arrivando a non ammettere addirittura ciò che è evidente».

Carlo Rallo



EA2G | 2024-12-23 14:54:00
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