Si tratta di uno dei principali testi all'esame del Parlamento prima della pausa estiva, quelli dei quali con tutta probabilità si è parlato stasera al Quirinale nei colloqui del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con i presidenti delle Camera Gianfranco Fini e Renato Schifani. Sono mesi, d'altra parte, che in Parlamento si discute per risolvere i molti nodi rimasti ancora aperti, anzitutto i passaggi del testo che di fatto, secondo i critici, imprimerebbero "una notevole compressione alle indagini". Le questioni che ancora non sarebbero state risolte sono sostanzialmente quattro. La prima riguarda la norma secondo la quale per chiedere di intercettare ci debbano essere non più solo "
indizi di reato", ma "evidenti indizi di colpevolezza". Una circostanza che potrebbe ridurre molto la possibilità di indagare, visto che i magistrati non potranno più fare controlli solo sapendo che è stato commesso un reato in un determinato posto. Ma dovranno avere invece la quasi certezza del fatto che a commetterlo sia stato un individuo preciso. Con tanto di nome e cognome. Il secondo aspetto che legherebbe non poco le mani ai magistrati è che ora, nel caso in cui spuntino "elementi nuovi", si può sempre chiedere una proroga delle intercettazioni. Quando entrerà in vigore il ddl, invece, il termine massimo per ascoltare i colloqui telefonici sarà quello di 60 giorni, oltre il quale non si potrà più 'sforare'. Il terzo dubbio nasce dal fatto che, sempre per colpa della dizione "evidenti indizi di colpevolezzà, le toghe non potranno più indagare "contro ignoti". Ma c'é una quarta questione, forse la più delicata di tutte: quella del doppio binario per i reati di mafia che però tanto "doppio" potrebbe non essere. Il testo del governo prevede infatti che le limitazioni ci siano solo per i reati comuni e non per quelli di mafia, per i quali invece varrebbe la normativa attualmente in vigore per le intercettazioni. Ma il punto è che per arrivare a contestare, ad esempio, il reato di associazione mafiosa, se ne devono scoprire prima molti altri cosiddetti "comuni" tra cui il pizzo, lo sfruttamento della prostituzione, illeciti ambientali, per i quali, invece, le restrizioni imposte dalla nuova normativa restano. Pertanto il ddl potrebbe avere comunque significativi riflessi anche sulle indagini anti-mafia. Del resto, era stato proprio il ministro dell'Interno Roberto Maroni a sottolineare quest'ultimo aspetto annunciando di voler cambiare il provvedimento "così come suggerito dal procuratore antimafia Pietro Grasso". Ma la modifica non fu possibile, perché sul ddl il governo decise di porre la fiducia alla Camera. Ora la questione si riproporrà al Senato