stradale non scherza, sempre per non parlare di altri traffici, è l’antimafia la questione contro la quale ci si riscalda di più, rispetto alla mafia e a dispetto dei nuovi “affari” condotti da Cosa Nostra sommersa, come l’eolico, le truffe alla 488, i tentativi di intromissione negli uffici giudiziari attraverso la massoneria, la gestione di imprese e appalti, scoperti anche di recente nelle indagini delle forze dell’ordine e delle procure. Basta un niente, ed ecco che si sente dire, male, più dei “professionisti dell’antimafia” che del super boss latitante Matteo Messina Denaro. Per il questore Giuseppe Gualtieri però ci sono altri “professionisti”.
A Trapani nel 1985, mentre il tritolo piazzato dai mafiosi a Pizzolungo per uccidere il giudice Carlo Palermo faceva strazio di Barbara Rizzo Asta e dei suoi due gemellini, si diceva che la mafia non esisteva, oggi si dice che la mafia è sconfitta. In fin dei conti, come ha osservato il pm Andrea Tarondo, magistrato che ha curato le più delicate indagini antimafia, ieri come oggi si sostiene la stessa cosa, la mafia non c'è. Lei che ne pensa?
Diciamo intanto che chi diceva che la mafia non esisteva probabilmente aveva un suo tornaconto politico e poi di conseguenza economico; oggi la categoria di chi dice che la mafia è sconfitta è molto più eterogenea, c’è chi lo dice con orgoglio e con grande buonafede, e c’è chi invece chi lo dice perché magari gli conviene spostare l’attenzione dal problema mafia verso alcuni altri reati e problematiche sociali, con ovviamente il conseguente abbassa
mento della guardia nei confronti della lotta alla mafia stessa, ottenendo anche maggior libertà. Io direi, e sono ottimista, i molti sono in buona fede, i pochi magari perché attrezzati e molto più “professionisti” nel sostenere questa tesi, sono in malafede.
Qui a Trapani mafia e impresa restano binomio inscindibile.
La situazione a Trapani la conosciamo. Non è che gli imprenditori trapanesi non hanno avuto buona volontà, il problema è che la mafia trapanese ha avuto la sua vita e ha la sua vita, nella dinamica dell’impresa, quindi è molto più difficile fare marcia indietro. È molto più facile nel palermitano laddove da una parte c’è l’imprenditore e dall’altra parte c’è il mafioso che fa l’estorsione e quindi li ci vuole un semplice coraggio, una semplice presa di posizione culturale. Stiamo parliamo di persone che stanno su fronti opposti. Nel trapanese il coraggio che ci vuole non è semplice, deve essere molto più grande. Quindi io guarderei con grande benevolenza a questi tentativi degli imprenditori, che magari dall’esterno appaiono timidi, ma questo lo può ritenere chi sottovaluta la mafia trapanese. Sono invece timidi tentativi che devono avere il nostro plauso, quello di noi investigatori c’è già, ma, per esempio, ci vuole anche il vostro, della stampa. Perché si parla di tentativi fatti in un ambiente in cui fare l’imprenditore e lottare contro la mafia è molto più difficile che nel palermitano.
Montagna dei Cavalli, Corleone, 11 aprile 2006. Il giorno della cattura di Provenzano. C’era lei a guidare, da Capo della Mobile di Palermo, quella ricerca finita bene. Tre anni dopo cosa ci dice?
La cattura di Provenzano ha fatto capire a tutti, investigatori, magistrati, opinione pubblica che non esiste la cattura impossibile e che la mafia è un insieme di delinquenti che può essere combattuto e vinto con i normali mezzi che ha lo Stato.
Il ricordo indelebile del questore Giuseppe Gualtieri di quell’11 aprile 2006 è questo. “Il pianto – dice – dei miei uomini, le lacrime erano dovute ad una lunga tensione e che aveva portato con sé accuse gravi, come quelle che lo Stato non voleva catturare Provenzano, che gli uomini preposti alla sua ricerca si crogiolavano di questa situazione come se facesse loro comodo, cose cattive dette a persone per bene. Io ricordo il giorno in cui nell’ufficio dell’allora questore di Palermo Caruso incontrammo il capo della Polizia e siccome i miei uomini mai avevano svelato in pubblico il loro volto, per ragioni di sicurezza, il capo della Polizia vedendo i miei ragazzi disse che se la gente avesse potuto vedere quei volti di bravi ragazzi, forse, per le cose brutte dette, tanti ci sarebbero rimasti male”.
Però quel giorno ci fu tanta gente che attese all’ingresso della Mobile di Palermo l’arrivo di Provenzano arrestato. “Per la prima volta, dopo anni – ricorda Gualtieri – il popolo palermitano ha plaudito alla sconfitta di un mafioso e non è rimasto indifferente. Quegli stessi ragazzi di Addiopizzo che erano lì quel giorno poi sono divenuti discepoli di legalità e hanno diffuso a macchia d’olio non solo la loro attività, ma sono stati trainanti per tante altre associazioni culturali di giovani e meno giovani, ma sopratutto di imprenditori e commercianti che hanno dato vita a quel nuovo corso, per esempio di Assindustria siciliana, che ha messo tra le sue priorità l’essere estraneo a determinati comportamenti e ammiccamenti con la mafia”.
Provenzano catturato “inseguendo” un sacchetto della spesa?
Un sacchetto che ha avuto una sua storia nella simbologia della mafia, era della Despar e anche lì altre indagini (quelle sul "re" della grande distribuzione Giuseppe Grigoli "presunto" socio del latitante Messina Denaro ndr) ci hanno mostrato altre cose pure importanti per la lotta a Cosa Nostra. Un sacchetto importante, ma altrettanto lo è stata l’“osservazione”, bravi i miei uomini, riuscire a pedinare pericolosi mafiosi per mesi senza farsene accorgere non è una cosa da tutti e non è facile.
Tratto da: Liberainformazione.org