Dovevano promuovere la Sicilia suddividendola in zone ideali, omogenee, ognuna accomunata da risorse naturali, storia, siti culturali, sfruttando i fondi comunitari a disposizione. In dieci anni invece i distretti turistici, consorzi di Comuni e imprese, si sono rivelati un flop clamoroso: ne sono nati addirittura 25, una decina non ha prodotto alcun progetto, 12 milioni sono rimasti nei cassetti mentre gli unici soldi spesi, poco più di 12 milioni, sono serviti soprattutto per iniziative «autoreferenziali», «locali», che hanno «penalizzato l’Isola in termini di visibilità e di mancata sinergia nell’impiego delle risorse».
A metterlo nero su bianco è la Regione stessa, che ha deciso di cambiare rotta riducendone il numero e riformandone il modello. E nel progetto di riforma fa il punto della situazione spiegando che nella storia dei distretti «emergono periodi di inattività prolungata, irregolarità nel funzionamento o nella gestione, difformità sostanziali delle attività realizzate rispetto al programma di sviluppo». Così l’assessore regionale al Turismo, Anthony Barbagallo ha provato a rivedere tutto il sistema, li ha ridotti a sette denominandoli «Dmo», sigla che in inglese sta per «destination management organization» e puntando a migliorare la promozione del marchio Sicilia grazie alla collaborazione tra enti pubblici e privati. «Al mio insediamento - chiarisce l’assessore - ho subito proceduto alla riforma del settore perché avevamo quattro volte il numero dei distretti altre regioni. C’era il rischio che diventassero dei carrozzoni, dei poltronifici, così li abbiamo accorpati in sette realtà. C’è il distretto balneare, quello enogastronomico, quello culturale e così via. Vogliamo promuovere e pubblicizzare l’immagine della Sicilia in maniera coordinata. E proveremo a recuperare le risorse non utilizzate».
Sostanzialmente non è che i distretti turistici avrebbero dovuto fare altro. Il problema è che, secondo gli uffici della Regione, non l’hanno fatto bene. Siti internet, brochure, convegni e poco altro ancora è quello che hanno prodotto queste strutture, istituite da una legge del 2005 ma formalmente nate solo sette anni dopo, dopo la pubblicazione dei criteri per la loro costituzione e un lungo iter per il loro riconoscimento. Poi è arrivato il via libera a un distretto dopo l’altro fino all'incredibile numero di 25.
«Il numero pletorico – scrive il dipartimento del Turismo nel documento in cui illustra la riforma - tende a comprendere nel sistema distrettuale anche situazioni di relativa debolezza che sottintendono l’esigenza di impegnative politiche di valorizzazione turistica e di coesione territoriale». E nonostante l'adesione di centinaia di aziende alle varie strutture territoriali, è emersa «salvo qualche caso sporadico, la mancanza di una capacità di autofinanziamento». Insomma, gli enti hanno puntato praticamente tutto sulle risorse pubbliche rimanendo concentrati sulle dinamiche locali. «Emerge l’oggettiva difficoltà dei distretti - sottolinea la Regione a decidere sullo sviluppo turistico, non agevolato da un’offerta basata su elementi esclusivamente locali, scarsamente competitiva sul mercato di riferimento e carica di punti di debolezza». E ancora, nella relazione la Regione scrive che «alcuni distretti, seppur dotati originariamente di risorse importanti, oggi sono carenti sotto il profilo della visibilità e della capacità di accogliere le diverse forme di turismo».
In concreto, i distretti hanno avuto subito a disposizione una linea di finanziamento da 24 milioni ma non hanno sfruttato l’occasione. «Si è creato un equivoco - dice il dirigente generale Sergio Gelardi - l’Europa vuole che le risorse siano spese da enti pubblici ma i distretti turistici non lo sono. Per cui la titolarità è passata su Comuni e Province che però poi si sono disinteressati». Così nel 2014 sono stati finanziati complessivamente 48 progetti per un totale di 15 milioni e 400 mila euro impegnati, somme però calate perché nei mesi successivi sono stati revocati 9 progetti per un importo complessivo di circa 3,8 milioni. Dunque alla fine le risorse non utilizzate sono state 12 milioni e 400 mila euro, somme al momento praticamente perse.
Sette distretti non hanno avuto finanziati progetti, altri hanno subito una revoca, una quarantina di Comuni sono rimasti fuori da ogni distretto ed è emersa una «segmentazione che non ha permesso un’offerta turistica globale. Insomma, come nella migliore delle tradizioni ha trionfato il campanilismo e i progetti hanno guardato più ai singoli territori che alla Sicilia. Il distretto Mare dell'Etna, ad esempio, del quale fanno parte 16 Comuni e venti privati, ha proposto un «marchio di qualità» per le aziende che rispondevano a determinati requisiti. Ebbene, alla fine a ottenerlo sono stati solo due hotel e un B&b e gli stessi soci del distretto sono rimasti fuori. Il distretto Sicilia occidentale, guidato da Trapani, ha creato un’app ad oggi scaricata poco meno di cento volte. E ancora, il distretto «Antichi mestieri, sapori e tradizioni», che raggruppa vari Comuni anche distanti geograficamente come Rosolini e Favignana, ha ottenuto il via a due progetti indirizzati al Comune di San Pietro Clarenza di cui uno studio statistico da 25 mila euro dal titolo «Chi è e cosa vuole il nostro turista?».
C’è chi ha fatto peggio. Il distretto Tirreno-Nebrodi, con i suoi 39 Comuni soci non ha realizzato alcun progetto a fronte di una quota associativa richiesta alle casse dei già martoriati Comuni: quella di Nicosia, ad esempio, è stata di 3.800 euro. Stesso discorso per il «Thyrrenium Tyndaris Parco dei miti», dove a un certo punto, spiega il sindaco di Patti, Mario Aquino, il suo Comune non ha più pagato: «Avevamo un progetto che non è stato finanziato per presunte irregolarità – dice il primo cittadino – alla fine non abbiamo più versato la quota perché era inutile». Zero progetti anche per il distretto delle Isole e arcipelaghi, per il Taormina Etna e per quello del Golfo di Castellammare, che la scorsa settimana ha preso la drastica decisione: «Abbiamo liquidato il consorzio – dice Giuseppe Cassarà, amministratore delegato e presidente regionale di Federturismo di Confindustria - Cosa non ha funzionato? La Regione, molto semplice - prosegue - perchè qualunque sia il nome dato a queste strutture, il problema resterà quello della gestione. Alcuni distretti hanno avuto dei finanziamenti per attività praticamente identiche a quelle proposte da noi e che invece sono state bocciate senza neanche chiedere chiarimenti. Così probabilmente è stato favorito qualcuno a scapito di altri».
Il Coordinamento dei Distretti Turistici Sicilia Antichi Mestieri, Cefalù e Madonie, Iblei di Ragusa, Pesca Turismo, Sicilia Occidentale, Taormina-Etna, Valle dei Templi, Vini e Sapori di Sicilia contestano l’atteggiamento della Regione Siciliana sulle politiche adottate nei confronti dei Distretti Turistici. Un comportamento incoerente e schizofrenico quello dell’Assessorato Regionale del Turismo, che dà una mazzata alle organizzazioni territoriali, anziché promuoverle. I responsabili del flop e di una inadeguata programmazione in termini di valorizzazione e promozione della Sicilia scagliano dardi contro se stessi o sparano nel mucchio senza operare alcun distinguo.